lunedì 27 dicembre 2010

La strada non andava in nessun posto.

  Si inerpicava su per la collina, poi scendeva pigramente per inoltrarsi nel bosco. Giocava a nascondino per un pò e infine si tuffava in una radura. Non c'era verso di farla uscire di lì.  Più di un viaggiatore aD5bdc9a7f2be5c62355011b44e0ba0b6veva provato a scuoterla, a prenderla per mano. Qualcuno, ormai rassegnato, le  rivolgeva un ultimo  sguardo colmo di malinconia   e nascondeva fra le ciglia un punto  interrogativo che,  se avesse trovato voce, sarebbe esploso in un  "E io dove vado?"  Non trovando risposta si sarebbe poi infranto al suolo togliendo al viaggiatore anche quel filo di speranza.


Il bosco che circondava la radura  era popolato di uomini e donne che si era smarriti.  Riecheggiavano, a ogni ora,  le loro voci inquiete. "Una così bella strada dovrà pur portare da qualche parte." "Si è solo assopita" "Non la posso abbandonare."


Nessuno era stato sfiorato dall'idea di poter tornare indietro.  I più ostinati pernottavano nella radura, gli altri giravano in tondo,  si incrociavano  e scambiavano opinioni  che raccoglievano in bisacce leggere come vento e riprendevano il cammino più soli e tristi perchè ormai sapevano dove aveva inizio nessun posto ma nessuno era riuscito ancora a  spiegar loro dove finiva.


( ho preso spunto  qui dal titolo di un racconto di Gianni Rodari)

domenica 26 dicembre 2010

Q.ndo

Continuò a dormire. Il campanello suonò ancora un paio di volte e  fu silenzio. Il rumore di un paio di passi si allontanò  giù per le  scale. 


L'uomo disteso sul divano vestiva un sogno che gli inclinava occhi e bocca a imitare un  sorriso. Un braccio era disteso oltre la testa, attraversava un cuscino di velluto arancione e si arrestava sul bordo, l'altro era posato sullo stomaco. Le gambe erano  piegate e seminascoste sotto una coperta a quadri rossi e verdi. 


Q.ndo era rannicchiato sopra un pezzo di coperta, arrotolato come una ciambella, sonnecchiava beato, dopo aver  fatto onore al salmone che Jack aveva posato nella  sua ciotola. Uscito dalla cucina, con un balzo era atterrato sul divano. L'uomo non si era mosso.  Q.ndo aveva trovato uno spazio libero,  lo aveva sprimacciato con cura e si era arreso.  Aveva pensato che una siesta non gli avrebbe fatto alcun male.

martedì 14 dicembre 2010

Espiazione

I bambini ci guardano e, a volte, decidono il nostro destino. Estate del 1935. Briony Tallis ha tredici Espiazione anni, una fervida fantasia  e una commedia che non riesce a portare in scena.


La tragedia incombe. Fa caldo. In casa vengono ospitati i cugini del nord che devono distrarsi mentre i genitori si stanno separando. Leo, fratello maggiore di Briony, e un amico, magnate del cioccolato, stanno per arrivare. Robbie  (James McAvoy),  figlio della domestica, studente di medicina, e Cecilia (Keira Knightley), la sorella maggiore di Briony, si scrutano, si cercano, si amano. Briony li sorprende in un momento imbarazzante e interpreta male quanto  le capita di vedere. Forse  un pò per gelosia, forse a causa di  una sfrenata fantasia, pensa che Robbie  sia un maniaco. Quando, alla sera, sua cugina è vittima di violenza, Briony non ha un esitazione. E' Robbie il colpevole, un ragazzo che è cresciuto insieme a lei, il mostro.


Robbie viene condotto in prigione e condannato. Cecilia sa che è innocente, interrompe i rapporti con la sua famiglia, diventa infermiera e lo aspetta. Robbie per uscire prima di prigione accetta di arruolarsi nell'esercito. E' scoppiata la secondo guerra Mondiale. Il ragazzo incontra Cecilia, non sa più a cosa credere, l'amore consumato con lei, quattro anni prima, gli sembra irreale. La ragazza  lo sprona ad avere fiducia nel loro legame, nella possibilità di un futuro. "Torna"  gli dice in un ultimo bacio, prima di salire sull'autobus per tornare in ospedale. Un cottege bianco, in riva al mare, con le imposte blu è il sogno, il luogo, promesso, dove trascorrere insieme la sua prossima licenza. 


 A Dunkerque imperversa una feroce battaglia, Robbie è ferito e muore di setticemia, il primo giugno 1940, stringendo tra le dita la foto del cottege bianco. Il desiderio che ripete fino all'ultimo, in preda al deliderio, è: "Trovare Cecilia, amarla, sposarla  e vivere senza vergogna."


Briony è cresciuta, ha diciotto anni,  capisce di avere sbagliato ad accusare Robbie, vorrebbe chiarirsi con Cecilia ma le manca il coraggio. Ha lasciato Cambridge per rendersi utile facendo l'infermiera, prova a espiare così la sua colpa. Cecilia muore pochi mesi dopo, durante un bombardamento. A Briony non resta che il rimpianto per un errore non più recuperabile. Sente il bisogno di raccontare la sua storia, la mette su carta e poi la riscrive più volte incapace di costringerla alla durezza della vita reale. Riesce a concludere il romanzo quando è ormai anziana e sa che  manca poco alla sua morte. Ha deciso di concludere il racconto  con un atto di gentilezza che non le è stato possibile compiere, nella realtà,  fa rincontrare  Robbie  e Cecilia e prova a dar loro la "giusta felicità".


Mi  ha colpito il modo in cui l'acqua è diventata protagonista di alcune scene del film. Uno specchio, un  nascondiglio, un'inconsapevole prova d'amore, un rifugio, un muro capace di infrangere sogni e speranze.


La spiaggia dove i soldati attendono di essere imbarcati per l'Inghilterra è un luogo estremo, ove i feriti  si incrociato con  i resti di un luna park, un film in bianco  e nero racconta la sua poesia su un muro. Le notizie arrivano incerte, si beve e si attende. In un mondo venato di follia, l'unico rifugio sono  i ricordi ed i progetti. L'oggi è una pagina da archiviare in fretta.

domenica 12 dicembre 2010

L'amore non va in vacanza

Due donne,  reduci da disavventure sentimentali, decideno, nel periodo  natalizio, di scambiarsi casa. La-locandina-di-l-amore-non-va-in-vacanza-35135
Le loro vite sono molto diverse, Amanda (Cameron Diaz) realizza trailer per il cinema e vive in una villa holliwoodiana a Los Angeles. Iris (Kate Winslet), giornalista al Daily Telegraph, abita in un piccolo, delizioso, cottage a quaranta minuti da Londra. 


Amanda vive l'avventura come un colpo di testa. Arrivata nel cottage,   sperduto nella campagna del Surrey, si sente sola al punto da progettare di ripartire il giorno seguente ma, nel cuore della notte, il bussare di un uomo alla porta, sconvolge i suoi piani. Graham (Jude Law), il fratello di Iris, ignaro dello scambio, ubriaco, pensava di trascorrere la notte ospite della sorella. Incontra una sconosciuta che lo incuriosisce e sorprende proponendogli di trascorrere la notte insieme. Una trasgressione senza conseguenze. Lui talmente ubriaco da non potersene ricordare, lei convinta di poter fare una pazzia.  Non è così, il mattino non attenua i buoni ricordi e si separano con un pò di rimpianto. Amanda, arrivata in aereoporto, decide di non partire. Si reca al pub indicatole da Graham, lo incontra e  si ubriaca al punto da non ricordare come ha trascorso la notte. Lui, gentiluomo, dice che hanno solo dormito dato che lei era incosciente. Giunti alla seconda notte insieme, Graham propone un pranzo per conoscersi meglio ma poi, abituato a dividere la vita in compartimenti stagni, tralascia alcune notizie fondamentali... Amanda confessa di aver sofferto la separazione dei genitori e di non piangere da quando aveva quindici anni. I giorni trascorrono veloci, il segreto di Graham viene alla luce, i due sono sempre più legati ed è quasi ora di ripartire.


Iris va a Los Angeles per dimenticare Jasper (Rufus Sewell). Un uomo che, sapendola innamorata, la tiene legata da tre anni trattandola come un rifugio, uno specchio che riflette la sua gloria e poco altro. Quando, alla festa in ufficio, viene data la notizia che Jasper si sta per sposare con un'altra, Iris decide che deve fare qualcosa per spezzare questo legame. A L.A. conosce un vecchio sceneggiatore, Arthur Abbott (Eli  Wallach) che ha fatto la storia del cinema, lo ammira, diventa sua amica. Lui le consiglia  di vedere alcuni film che dovrebbero aiutarla a ritrovare la fiducia in se stessa. Iris conosce  anche Miles (Jack Black), creatore di colonne sonore, appassionato di cinema, impegnato in una relazione e attratto da lei. Spira uno strano vento a Los Angeles, tutto sempra possibile. Jasper cerca Iris, la fidanzata di Miles dopo averlo tradito prova a riconciliarsi con lui. Spazzate via le macerie dal cuore, Miles e Iris, con l'aiuto di Arthur possono avere un occasione.


Qesto mescolarsi di attori inglesi ed americani da vita a un film che corre su due binari, solo a tratti coincidenti, una commedia americana declinata per un verso alla maniera inglese per l'altro costruita con meccanisti Holliwoodiani. Il film, lungo 138 minuti, appare sbilanciato nel trattare le due storie dando più spazio ad Amanda e Graham. E' la storia che preferisco, per l'ambientazione inglese e perchè i due attori mi sembrano più affiatati.  Iris e Miles hanno diviso la scena con Arthur e con la storia del cinema, un idea piacevole, che richiede più spazio di quello che le è stato concesso.


Film carino, adatto al periodo natalizio.

giovedì 2 dicembre 2010

Informazione, limiti e abusi

A Brembate, nel bergamasco, una bambina è scomparsa da sei giorni. Giornalmente, sui mezzi di informazione,  ci sono  aggiornamenti riguardo alle ricerche, in atto, nella zona. Con il passare dei giorni cresce la preoccupazione. Questa sera, al tg1, una giornalista ha tenuto a precisare la sua difficoltà nel "catturare l'immagine" dei genitori della bambina. E' difficile rintracciare fotografie, non si fanno intervistare, preferiscono tenersi lontani dalle telecamere.


Queste persone stanno vivendo un momento estremamente difficile e il minimo che si può fare è cercare di rispettare la loro volontà. Far vedere i lori volti,  stravolti dalla preoccupazione, cercare a tutti i costi di porre loro  delle domande pensando, più è difficile, più è grande lo scoop,  non è fornire un servizio, informare, è voyerismo, un disgustoso tentativo di commerciare le emozioni, senza tenere conto che a volte ci vuole più coraggio nel fermarsi, fare un passo indietro, ragionare e far ragionare il pubblico, i lettori. A volte, per porre un freno, basterebbe pensare: "Se capitasse a me?"

lunedì 29 novembre 2010

Vieni via con me

E' appena finita la quarta puntata del Programmma Vieni via con me e ancora, nelle orecchie, risuonano le parole di Roberto Saviano e Fabio Fazio. Vado? Resto?  Chissà.


Vieni-via-con-me Era l'ultima puntata, forse non eravamo più abituati a un programma capace di ricordarci che abbiamo una testa e idee da coltivare, riflessioni da fare, senza dimenticare il diritto a indignarci accompagnato da azioni, anche piccole, per provare a cambiare le cose. Ci siamo affezionati in fretta, lo testimoniano gli ascolti, quanto era forte il bisogno di un programma di qualità, capace di ampliare gli orizzonti, fornire spunti di approfondimento, punti interrogativi, buona musica (De Gregori, Elio e le storie Tese, Daniele Silvestri, Stefano Bollani), belle esibizioni dell'espressivo corpo di ballo. Sono stati molti gli interventi di persone che avevano qualcosa da comunicare. Questa sera: Benedetta Tobagi, Dario Fo, Pietro Grasso, Don Ciotti, Cecilia Strada, Ernesto Olivero...


Le note della canzone "Via Con Me" di Paolo Conte sono state declinate in mille maniere, riuscendo a essere parte integrante e viva del programma.


"Via, via, vieni via di qui,

niente più ti lega a questi luoghi,

neanche questi fiori azzurri…

via, via, neache questo tempo grigio

pieno di musiche e di uomini che ti son piaciuti,

It’s wonderfoul, it’s wonderfoul, it’s wonderfoul

good luck my babe, it’s wonderfoul,

it’s wonderfoul, it’s wonderfoul, I dream of you…

chips, chips, du-du-du-du-du..."




Già mi sento un pò più sola, in mezzo a grandi fratelli, gossips e plastici. Spengo la tv.

domenica 28 novembre 2010

Solo un padre

Ambientato a Torino, è un film crepuscolare. Carlo (Luca Argentero), dermatologo, è vedovo. Melissa (Claudia Pandolfi),   la moglie,  è morta di parto. Carlo è rimasto solo con  la figlia Sofia. Lo aiutano i 1817 genitori e gli amici. L'uomo è completamento assorbito dal suo ruolo di padre, dal senso di colpa per non essere riuscito a salvare la moglie. Si scontra con la sua assenza e con gli oggetti, i ricordi di lei disseminati nella loro casa. Tutti sembrano sapere cosa deve fare, provano a distrarlo facendogli incontrare un'ex compagna di scuola, duramente colpita da delusioni d'amore, ma il tentativo di  relazione non funziona. Carlo si dibatte come può nel quotidiano dubitando di poter affrontare la vita. E' sera, l'uomo e la figlia sono in macchina, la radio trasmette una canzone dei R.E.M. Everybody Hurts


Carlo ripensa a quando aveva diciotto anni, parla alla sua bambina,  tutto gli sembrava possibile,  non ha mai dovuto lottare per qualcosa, non ha mai sofferto, se avesse provato queste esperienze  si chiede se sarebbe stato più pronto.


Camille(Diane Fleri), giovane ricercatrice francese, piomba nella sua vita come una folata di vento, capace di scompigliare le abitudini e rimettere in modo i sentimenti. Grazie a lei, Carlo riesce a far chiarezza in se stesso, guarda al passato con occhi diversi e può provare a ricominciare.


Nel film, colpisce  il rapporto padre-figlia, la misurata commozione, la vulnerabilità di un uomo che si trova a essere improvvisamento solo, in balia delle onde, unico a poter difendere la sua bambina. Il tentativo di chi lo circonda di aiutarlo senza però essere in grado di capirlo, facendo emergere le sue fragilità, i suoi rimorsi. Tutti provano ad aiutarlo e tutti si sono fatti un'idea di quanto è accaduto, del legame tra marito e moglie, di cosa sta provando Carlo. La realtà è diversa però nessuno sembra capace di andare oltre l'apparenza, almeno fino a quando....


Film bello, struggente, consigliato..


Colonna sonora


"Per fare a meno di te
non so dove me ne andrò che cosa inventerò
Per fare a meno di te
Io no, non mi sveglierò non ti ricorderò

Quando guardo il cielo cerco te
Distrattamente guardo il cielo e cerco te
E mi sollevo..."


Giorgia

martedì 26 ottobre 2010

Cattiva

Ultimamente sei tu a decidere la strada
Io resto dietro di te
raccolgo i sassi rotondi in una scatola quadrata, ho un passatempo inutile
Sinceramente da un po’ si vive alla giornata
non posso dire di no
usciamo fuori dal quartiere una volta al mese solo di sabato
ma pensa che coincidenza...
Chiedi un autografo all’assassino
guarda il colpevole da vicino
e approfitta finché resta dov’é
toccagli la gamba fagli una domanda
cattiva, spietata
con il foro di entrata, senza visto di uscita
E’ stato lui, io lo so
non credo alla campana degli
innocentisti perchè
anticamente ero io un centurione con la spada e non lo posso difendere
Mi ricordo quando ci fu Galileo e Giovanna D’Arco
ero presente in piazza,
provavo immenso piacere
mi sentivo bene a vedere come si muore,
sono di un’altra razza
Chiedi un autografo all’assassino
guarda il colpevole da vicino
e approfitta finche’ resta dov’é
toccagli la gamba fagli una domanda, ancora
chiedi un autografo all’assassino
chiedigli il poster e l’adesivo
e approfitta finche’ resta dov’è
toccagli la gamba
fagli una domanda
cattiva
spietata
è la mia curiosità impregnata
di pioggia televisiva
comincia un’altra partita....


(Samuele Bersani)

martedì 12 ottobre 2010

Italia-Serbia ostaggio di pseudotifosi serbi

La partita è stata sospesa, la conferma, ufficiale, è giunta dopo una lunga attesa. Lo stadio era ormai vuoto in molti spazi. I primi ad andarsene sono stati i bambini, occupavano il terzo anello, era la loro serata. Avrebbero dovuto vedere una partita di calcio, in un grande stadio scendevano in campo gli Azzurri. Uno di quei ricordi che conservi per la vita. Invece hanno dovuto assistere a  scene di ordinaria follia.


Un gruppo di  ultras   serbi ha macinato centinaia di chilometri per  fare un'imboscata alla propria nazionale rea di aver perso la partita giocata contro l'Estonia. Il gruppo di "tifosi" sale sul pulman della squadra serba, lancia fumogeni, spaventa il portire fino a spingerlo a chiedere di non giocare. Gli ultras minacciano, imbrattano strade e monumenti della città, infine giungono allo stadio. Iniziano i preparativi: la rete di protezione da tagliare, i vetri da infrangere, i fumogeni da lanciare. C'è  spazio solo per la violenza.


Le squadre entrano in campo per il riscaldamento  e rientrano negli spogliatoi, non ci sono le condizioni  per giocare. Le forze dell'ordine si schierano a bordo campo per  contenere le intemperanze degli ultras. I giocatori serbi vanno sotto la curva dei loro "sostenitori" e provano a rabbonirli. Si prova  a riprendere con gli inni nazionali. Il ritardo supera la mezz'ora. Viene fatto un minuto di silenzio per ricordare i soldati italiani morti in Afghanistan. Poi l'arbitro scozzese da il fischio d'inizio. Alcuni brutti falli dei giocatori serbi, un fallo, da rigore, su Pazzini, non fischiato e i bengala tornano a volare. Il portiere Azzurro Viviani, si dirige verso il centro del campo intenzionato a non proseguire. Dietro alle sue spalle sono ospitati i tifosi serbi che hanno ripreso a lanciare i fumogeni verso i settori occupati dai tifosi italiani  e dentro il perimetro di gioco. L'arbitro sospende l'incontro. Le delegazioni delle due nazionali e il delegato Uefa si riuniscono per discutere. I serbi sanno che con la sospensione della partita rischiano, a termine di regolamento, una sconfitta tre a zero a tavolino e  sanzioni anche più gravi. Le condizioni per giocare in sicurezza però non ci sono. La partita è ufficialmente sospesa. Gli ultras hanno raggiunto il loro scopo.


A noi resta il gusto amaro della sconfitta.


 

domenica 10 ottobre 2010

La ballata dell'eroe

Era partito per fare la guerra
per dare il suo aiuto alla sua terra
gli avevano dato le mostrine e le stelle
e il consiglio di vender cara la pelle

e quando gli dissero di andare avanti
troppo lontano si spinsero a cercare la verità
ora che è morto la patria si gloria
d'un altro eroe alla memoria

era partito per fare la guerra
per dare il suo aiuto alla sua terra
gli avevano dato le mostrine e le stelle
e il consiglio di vender cara la pelle

ma lei che lo amava aspettava il ritorno
d'un soldato vivo, d'un eroe morto che ne farà
se accanto nel letto le è rimasta la gloria
d'una medaglia alla memoria.


(Fabrizio De Andrè)

lunedì 27 settembre 2010

Un bacio caduto male

 Il telefono è silenzioso. Chissà per quanto. Spera che le lasci almeno il tempo di mettere ordine. Non trova stampelle libere, ritorna verso il letto, si accorge di avere lasciato il segno, un impronta rosso corallo sul colletto della camicia. Un bacio caduto male.
Ieri sera prima di uscire si è truccata con cura, ha indossato l’abito nero e un paio di sandali che le regalano almeno dieci centimetri. Il percorso è stato breve. Giù in ascensore fino al piano terra poi in strada, un tratto di marciapiede, percorso picchiettando con ritmo, ed è arrivata. Ha suonato il campanello. Lui era in casa.


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- Si?
- Ciao, sono Fiorenza.
- Sali.


 


 


Paolo abita al terzo piano, senza ascensore. La porta è socchiusa, Fiorenza entra e lo vede di striscio, sdraiato sul divano. Ha un libro fra le mani, gli occhiali calati sugli occhi e il cellulare appoggiato sul tavolino. Lei si siede in poltrona e lo guarda. Fino alla fine del capitolo lui la ignora. Fiorenza ripassa il discorso che vorrebbe fargli. L’ha in testa da quando l’ha visto con Sandra nel negozio di abiti da sposa. Fiorenza è l’altra, quella da amare a intermittenza, giocando sul fatto che conosce le regole e non può aspettarsi di più. Paolo sincero, con il piede in due scarpe e nessuna intenzione di fare una scelta. Basta. Lui si riscuote, la guarda, le riserva un sorriso compiaciuto. Si alza, l’abbraccia, le dice “Sei stupenda stasera”. Vanno in camera da letto. Spogliarsi è un’azione meccanica. Lei tira già la cerniera e lascia che l’abito le scivoli ai piedi. Lui sbottona la camicia, la sfila e posa sullo schienale della sedia insieme ai pantaloni. Si infilano nel letto, il tutto dura pochi minuti, anche la passione si è persa per strada. Poi lui si volta sul suo lato, chiude gli occhi e dorme. Lei lo guarda ormai convinta di non poter più continuare. Li lega solo l’abitudine. E’ durata troppo. Si alza, è nuda, si avvicina allo specchio, gira su se stessa e sorride. Prende la stilografica che è sul tavolino, la punta su un foglio bianco e traccia le linee dell’addio. Ritorna verso il letto, raccoglie l’abito, tira su la cerniera, l’orologio denuncia le 3. Fiorenza si guarda intorno, prende la borsa che ha lasciato in soggiorno. Sta per uscire ma prima decide che vuole un ricordo. Rientra in camera. Afferra la camicia, la caccia in fondo alla borsa e torna a casa. Sente la stanchezza piombarle addosso tutta d’un colpo. Si butta sul suo letto e chiude gli occhi. Si sveglia quando il sole inizia a infilarsi nella stanza.
Non le resta che la camicia. Un regalo di compleanno, un invito a non tornare indietro.


Sente bussare alla porta.

domenica 26 settembre 2010

Mangia prega ama

Elizabeth Gilbert ha un buon lavoro, una bella casa, un marito e una scatola ove ripone  le informazioni  riguado i luoghi che vuole  vedere prima di morire. Non è felice. Sente che le manca qualcosa, divorzia, si imbarca in una tormentata storia d'amore infine, quando anche questa sembra naufragare, decide di partire per un Mangia prega ama locandina viaggio intorno al mondo, si dà un anno di tempo per ritrovarsi, per costruire un nuovo equilibrio.


Tre capitoli schematici e piuttosto slegati  rappresentano la maggior parte del film. Mangia Prega Ama. Italia India Indonesia. Corpo Spirito Cuore.


La prima tappa italiana è riservata al corpo ovvero al cibo, da consumare in libertà, con inquadrature degne della "Prova del Cuoco",  stereotipi a gò gò e la sensazione di una Roma da cartolina, guasta, priva di significato.


In India Elizabeth si dedica alla preghiera, riflette sugli errori commessi, sulla capacità di perdonare e perdonarsi.


In Indonesia,a Bali, ritrova il Santone che le aveva predetto il suo percorso, tra divorzio, povertà, ricchezza e viaggio.  Le viene chiesto di ricopiare dei documenti, conosce una donna divorziata che da sola deve crescere sua figlia, incontrando mille difficoltà. Liz conosce anche un uomo brasiliano (Javier Bardem) divorziato che per prima cosa prova a investirla e poi...


Il film è tratto dal romanzo omonimo di  Elizabeth Gilbert che racconta l'esperienza da lei vissuta.


Sorprende il fatto che il film, pur essendo tratto da una storia vera, risulti finto, artefatto, poco coinvolgente.  Si, le idee di fondo sono buone: aprirsi alla vita, al viaggio come trasformazione, non aver paura di  lasciare tutto per cercare un proprio equilibrio, imparando da ogni persona che si incontra. Il film cade quando, per dimostrare la propria tesi,  si contraddice avvalendosi  di stereotipi, personaggi costruiti a tavolino, bidimendosionali poco compatibili con l'idea di autenticità che la pellicola sembra voler proporre. Conosciamo la superficialità con qui è stata trattata l'Italia, possiamo legittimamente chiederci se stessa sorte sia toccata anche all'India  e a Bali.   La pellicola è lunga 140 minuti, troppi per una storia  nella quale si fatica a mettersi nei passi della protagonista, capire cosa pensa, il perchè di certe azioni e situazioni che vengono presentate come un asettico elenco, indifferente al cuore.


A un certo punto, verso la fine, Julia Roberts, alias Elizabeth Gilbert, assume l'espressione che aveva in "Se scappi ti sposo" sembra pronta alla grande fuga e...  strappa un sorriso a una spettatrice sull'orlo del sonno.

sabato 14 agosto 2010

Juve, guarda che Diego

(prendo a prestito il titolo di Guglielmo Buccheri    che mi sembra il più giusto)

Per chi lo ha visto giocare ieri sera a Bari, nel Trofeo Tim, risulta difficile capire perchè Diego sia a un 
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passo dall'addio. Il giocatore brasialiano ha incantato con qualità e
qualità, sempre presente nelle azioni offensive  della Juve.
Propositivo, impegnato a dimostrato quanto vale, l'unico bagliore di
fantasia sulla sponda bianconera.

Diego,  arrivato a Torino
l'anno scorso, dopo un promettente avvio  - ha incantato nel match
contro la Roma -  è stato travolto dalla crisi generale.  Non si è però
perso d'animo, ha lavorato, sicuro di potersi riscattare, ha chiesto 
solo un'altra possibilità. Sa giocare a calcio, affascina con la palla
al piede.  Una stagione sotto tono può capitare a chiunque. E' giovane,
può essere molto utile alla  Juventus dandole un apporto di qualità e
fantasia, indispensabili, in assenza di valide alternative. Diego deve
fare la staffetta con Del Piero? La stagione, lunga e piena di  impegni,
può dare a  entrambi la possibilità di mettersi in mostra.

Del Neri e Marotta sono uomini d'esperienza, spero che  aiutino Diego a disfare le valigie.

Juve, mistero strano

I bianconeri sono reduci da un'annata disastrosa dove non sono stati in grado nemmeno di conquistare un posto in Champions League, l'amoro bottino di fine stagione è stato il preliminare nella, minore, Europa League. Ciò che ha lasciato più perplessi, dopo il promettente avvio, con  mister Ferrara, è stata la totale mancanza di carattere, gioco, decisione da parte della squadra. Partivano quasi sempre con un goal di svantaggio e ogni tanto, forse preda della vergogna, riuscivano ad agguantare un pareggio. Se è difficile riconoscere la Juventus nei giocatori scesi in campo l'anno scorso, ancor più complicato diventa misurare il valore dei nuovi giocatori, che hanno avuto solo quella difficile stagione per dimostrare le loro qualità, con qualche dovuta eccezione:

Felipe Melo, centrocampista, pagato 25 milioni di euro, ha disputato un campionato sotto tono ed ha tenuto, in più di un occasione a dire che a Firenze e in Nazionale si divertiva, con la Juve No, lo vuole il Flamenco e  da Torino non lo lasciano libero. Poi giocando ai Mondiali contro l'Olanda, dopo un bel primo tempo ha segnato un' autogoal e si è fatto espellere per un brutto fallo. Temo che il suo ritorno in Brasile sia stato guastato da questi episodi.

Ecco, io penso che un  giocatore come Felipe Melo possa tranquillamente essere catalogato alla voce "errori di valutazione" e, anche per dargli un pò di serenità , la Juventus dovrebbe trovargli una sistemazione lontano da Torino. Lasciarlo fuori dal mercato, forse temendo una grande minusvalenza, può creare nuovi problemi in questa stagione. Un giocatore insoddisfatto, poco motivato difficilmente è in grado di recuperare posizioni.

venerdì 23 luglio 2010

Un pò di vento ma senza pretese.


 S’era alzato all’improvviso e
quasi gli era girata la testa mentre si dirigeva allo porta per vedere chi
aveva suonato. Bastavano pochi passi, un mezzo respiro ed era arrivato.  Lo spioncino non lo usava, sapeva di signorina
so tutto io, acquattata  fuori dal mondo
e decisa a carpirne i segreti. No, non faceva per lui.  Era a posto? Non aveva uno specchio a portata
di occhi.

Aprì d’un col101_0635po e il vento aumentò. Colpa della corrente. Dal
terrazzo fluiva un’aria calda ed affettuosa che ancora sembrava conoscere il
profumo dei fiori. L’aria che risaliva le scale era fredda, incrostata di
unto,  priva di intenzioni. Ma questo non
aveva importanza. Ciò che lo colpì fu l’assenza di qualcuno fuori dalla porta.

C’era
lo zerbino verde bottiglia calpestata, la kenzia che la signorina Anceschi si
ostinava a volere posizionata nell’angolo. I gradini erano silenziosi e l’ascensore,
fermo al suo piano, aperto, restituiva la sua immagine riflessa nello specchio.
I suoi capelli erano in ordine, i vestiti pure e se qualcuno si fosse fatto
trovare davanti alla sua porta non avrebbe ricevuto brutto sorprese. Forse un thè
alla menta, due dei biscotti che aveva acquistato  da Maya al mattino,  una sedia  scomoda e impolverata, un po’
di vento ma senza pretese.

Richiuse la porta. Non vide il piccolo pacchetto,
avvolto in carta da pacchi marrone e spago nero, piegato sul pavimento come un oggetto
non identificato in cerca di padrone. Si servì di pochi passi per riattraversare
l’appartamento. Prese il thè, i biscotti e si arrese alla sedia scomoda della terrazza. Lasciò che il vento gli camminasse un po’ addosso. Sorrise
come se il vento non servisse che a questo: scompigliargli la faccia e giocare
a farlo apparire diverso.

martedì 29 giugno 2010

and the winner is...

McKenzie disse  "Uno - Due – Tre: palo."


Cavendish gli si lanciò contro urlando "Un cavolo!".


Iniziarono ad azzuffarsi peggio di due cow-boy in
un saloon. I compagni di gioco per un pò stettero a guardare poi, esasperati,
provarono a dividerli. Barry Black, il maniscalco, rimediò un morso sulla mano
e Mary Bloody, la maestrina, dovette fare i conti con un occhio nero. 


Il saggio del villaggio, il vecchio Joe Spritz,
giunto alla veneranda età di centodue anni, tre denti e quattro capelli,
esperto nel dirimere le questioni più complicate, sbottò in un:
"Lasciateli sfogare" e puntualmente  fu ascoltato. I giocatori
si distribuirono sugli spalti, in mezzo ai tifosi, dividendosi in due fazioni piuttosto
agguerrite. Mckenziani e Cavendishesi  si lanciarono bucce d'arancia,
gusci di noci, crostoni di pane e oscure minacce fino all’esaurimento di ogni
munizione. L'arbitro, accampando la necessità di una buona visuale, si sistemò
nella fila più alta con un occhio aperto e l'altro in ritiro.


Cavendish e McKenzie intanto continuavano ad
accapigliarsi. Avano provato le mosse greche e quelle latine, si erano spinto  sino agli
sgambetti ma non erano riusciti a prevalere l'uno sull'altro. Infine a mezzanotte e
tre quarti, dopo otto ore di zuffa, decisero di aver provato abbastanza. 
Si strinsero la mano e al grido di "Bubbole" e "Bubbole al
quadrato" contarono i danni. Pochi a dire il vero. Un paio di lividi e due
graffi. Le divise, tolta la polvere, sembravano essere appena uscite dalla
lavatrice. I due uomini fecero un cenno verso gli spalti. L'arbitro si ridestò
e in piedi, sull'ultimo gradino dell'ultima fila, diede voce al triplice
fischio, registrò lo scialbo pareggio insieme a una nota sul taccuino: "Mai
più qui". Il segnale fu accolto con sollievo dai tifosi che, ormai prossimi
al letargo, avevano iniziato a scendere in file ordinate di due con il resto di uno e si erano avviati, sonnecchiando, verso il villaggio.


Barry Black e Mary Bloody erano rimasti  a
bordo campo, intenzionati a regolare le ultime questioni. Il morso e l'occhio
nero furono debitamente restituiti e la tregua siglata. Infine,  accompagnati dalla luna, tornarono a
casa, fischiettando sconci motivetti scozzesi.

giovedì 24 giugno 2010

Capitani Coraggiosi

 

Cannavaro
FABIO CANNAVARO

Azzurri, tutti a casa

Paraguay, Nuova Zelanda, Slovacchia. Sembrava una passeggiata. Non per
la posta in gioco, la 
qualificazione agli ottavi, quanto per il passo dei giocatori azzurri
in campo. Sempre sotto di un goal,  più lenti, sfilacciati, distratti
degli avversari. Se nella prima partita potè l'orgoglio, nel costruire
speranza,  poi  una precaria condizione fisica, la sciatteria, la
mancanza di idee hanno avuto la meglio. (continua qui)

(foto tratta da
www.gazzetta.it)

Azzurri, tutti a casa

ITALIA - SLOVACCHIA  2-3

Paraguay, Nuova Zelanda, Slovacchia. Sembrava una passeggiata. Non per la posta in gioco, la
1208714734 qualificazione agli ottavi, quanto per il passo dei giocatori azzurri in campo. Sempre sotto di un goal,  più lenti, sfilacciati, distratti degli avversari. Se nella prima partita potè l'orgoglio, nel costruire speranza,  poi  una precaria condizione fisica, la sciatteria, la mancanza di idee hanno avuto la meglio.

L'Italia ha camminato, spossata, per più di un'ora, lasciando che la Slovacchia, alla prima esperienza mondiale, la sovrastasse  per gioco, tecnica e condizione fisica. Il goal di Vittek al '25 del primo tempo non generava reazioni. Gli azzurri continuavano a subire, esibendosi un'abulica calma piatta, privi di personalità e mordente. Nel secondo tempo gli ingressi di Maggio e soprattutto di Quagliarella e Pirlo, contribuivano a migliorare la situazione. Pirlo era l'unico ad avere visione di gioco e capacità di smistare i palloni. Quagliarella, volenteroso, si faceva avanti tentando di rendersi pericoloso. Serviva il secondo  goal slovacco per scatenare un tentativo di reazione. Il goal di Di Natale riaccendeva le speranze, il terzo goal slovacco le affossava. Quagliarella segnava il secondo, inutile, bel goal. 

Il forcing finale, la possibilità di agguantare la qualificazione con un pareggio, sono forme sottili di tortura, illusioni che hanno reso più amaro il risveglio.

Il Ct azzurro in conferenza stampa esordisce assumendosi l'intera responsablità di quanto accaduto, afferma  di non aver saputo preparare la squadra nel modo giusto, una squadra scesa in campo "con il terrore, nella testa, nelle gambe, nel cuore". Lippi non ha spiegato le scelte tecniche. Anche questa è tattica e non attenua le responsabilità dei  giocatori azzurri che sembravano essere lì per caso. Privi di volontà e di forma, bambini irrisolti che prima
allontanano la qualificazione per poi tentare di riacciuffarla.

L'Italia esce senza scusanti. Al primo turno, come nel 1974. Non essere capace di vincere, e
convincere, contro nessuno, serve a spiegare il ritorno a casa,
l'ultimo posto nel girone, la vergogna.

mercoledì 23 giugno 2010

un frammento

Piove a dirotto. Le persone percorreno veloci il marciapiede riparandosi con grossi ombrelli scuri. Un uomo si volta, sorpreso, osserva una donna che gli va incontro. E' la stessa a cui ha dichiarato il suo amore, un attimo prima, in taxi. Una donna che pensa di non appartenere  a nessuno e che nessuno le appartiene. Cerca Gatto, lo aveva abbondonato convinta che fossero accomunati dallo stesso destino. E' pentita, lo chiama, si addentra in un vicolo, tra i bidoni della spazzatura, le scatole di legno e la pioggia. Silenzio. Guarda l'uomo, incerta. Sente un miagolio, abbassa lo sguardo, lo vede, è intirizzito,  rannicchiato in  una scatola, lo raccoglie e infila nell'impermeabile. Grondano acqua. La donna si avvicina all'uomo e lo bacia. La pioggia continua a cadere.

domenica 20 giugno 2010

Azzurri, All Whites, occasioni e delusione

Italia - Nuova Zelanda 1 - 1 

La Nuova Zelanda peggiore squadra del Mondiale, qualificata a Sudafrica 2010 solo perchè l'1208714734Australia ha 
 giocato nel girone asiatico. Serve la goleada, il Paraguay ha vinto 2 a 0 con la Slovacchia. Meglio essere primi o secondi del girone?  I discorsi del pre-partita sono stati accantonati in fretta. Lippi ha schierato la stessa squadra che è scesa in campo, nel secondo tempo, contro il Paraguay. I neozelandesi vanno giù pesante con i gomiti e l'arbitro, che alla vigilia era stato definito uno dal cartellino facile sembra piuttosto accomodante. Al '7 minuto gli All whites passano in vantaggio. Bello il cross, Cannavaro provvidenzialmente in mezzo serve da appoggio, Smeltz, in fuorigioco,  mette dentro la palla. 

Gli azzurri provano a reagire, invischiati nell'ennesima partita in salita. Sembrano meno convinti, ancora più in difficolta nell'arrivare davanti al portiere avversario.  Al '28 De Rossi coglie l'occasione, Nelson gli tira la maglia e lui cade, in  area. Rigore. Iaquinta si avventa sul pallone dicendo che vuole pensarci lui e così è. Dopo una lunga attesa, l'arbitro da il via. Iaquinta spiazza il portiere e segna: 1 a 1  Gli azzurri festeggiano imitando, nei gesti, le ormai celebri Vuvuzelas.

Ci sarebItalia_32_672-458_resizebe spazio per fare molte cose però il tabellino resta fermo e rallentano anche le speranze azzurre. Tra il primo e il secondo tempo le sostituzioni Pepe e Gilardino sostituiti da Camoranesi e Di Natale, al '61 Pazzini prende il posto di Marchisio.

Per provare a riassumere questa partita mi viene in mente un episodio. Metà del primo tempo, l'Italia è ancora in svantaggio, Montolivo tira dalla distanza. Il pallone attraversa l'area, colpisce il palo destro, internamente, la porta trema, il pallone potrebbe entrare invece, inesorabile, corre lungo la linea di porta per poi scivolare a lato. 

E' un match condito di attese, vorrei ma non posso, sfortuna e scelte sbagliate. Insomma una partita da dimenticare   o meglio da studiare per evitare di ripetere gli stessi errori. Marchisio non  è un trequartista, non è un  centrocampista esterno, se lo si facesse giorcare nel suo ruolo forse giocherebbe meglio e sicuramente non avrebbe scusanti. Nel calcio non valgono le dinamiche del gioco del lotto, non si può trattere un giocatore che non segna da mesi (ogni riferiferimento a Gilardino è puramente intenzionale) come un numero ritardario e piazzarlo in campo pensando di riscuotere. Con tutta la stima per l'attaccante viola proverei altre soluzioni. Pazzini, per esempio, confidando in un pronto ritorno di Pirlo magicamente in forma spaziale.

Non è tempo di discutere su chi è rimasto a casa. E' ingeroso e poco reddittizio. Gli azzurri sono in Sudafrica e speriamo che ci dimostrino di essere la scelta giusta, gli unici capaci di portare avanti il sogno.

(immagine tratta dal sito www.gazzetta.it)

Gli Azzurri, la rai e la partita oscurata.

Vivo in Piemonte e ho toccato con mano la "beffa mondiale". Dal 43' minuto del primo tempo di Italia-Nuova Zelanda è sparito il segnale. E' tornato una decina di minuti dopo la fine della partita, In tempo per se1208714734ntire il giornalista Marco Mazzocchi che, su rai1, diceva "Non vi siete persi molto".  Una battuta mal riuscita che non serve a lenire la delusione, per il risultato degli azzurri e per l'impossibilità di seguirli, sostenerli, vivere la partita fino al '90.

La rai  stà fornendo un pessimo servizio. Trasmette una sola partita al giorno, il resto è su sky. Gli spazi dedicati al mondiale sono riempiti dagli interventi di opinionisti, veline, giornalisti che si dedicano a un vuoto chiacchiericcio e a classifiche del tipo: il più bello e il più brutto tra i giocatori che sono scesi in campo. E' avvilente seguire questo tipo di trasmissioni.

mercoledì 16 giugno 2010

"Il gioco dell'angelo" prime impressioni

Carlos Ruiz Zafòn, autore   dell' Ombra del Vento e di Marina, è bravo nel  catturare l'attenzione del lettore. Capitoli brevi, colpi di scena disseminati nei punti giusti che spingono a voltare pagine ed
Gdfgdf addentrarsi nella storia fino quasi a sentirla addosso come un vestito, una sensazione che investe e lascia spossati, febbrilmente interessati a sapere come va finire, se il protagonista-narratore  che si è adottato, per cui si fa il tifo, riuscirà a sbrogliare la matassa o, sempre più legato, sarà costretto a soccombere. Mistero, cuore, morale,  avventura sono gli ingredienti anche se a  tratti, spesso nelle ultime 150 pagine,  si inciampa sull'orrido.
Zafòn mi ricorda certi romanzieri dell'ottocento, maestri, capaci di annullare le distanze e legare a sè il lettore per infinite pagine (439 non sono poche). Leggere questo romanzo è tornare a Barcellona, aggirarsi nella città, assaporare i luoghi, i nomi delle vie come fossero vini d'annata, sentirsi impauriti e insieme affascinati dai misteri che vengono narrati con maestria.
Eppure a  volte si fa strada anche un'altra impressione. Se penso a Zafòn ora che sto leggendo il suo secondo romanzo (il primo era L'ombra del vento) mi chiedo se non sia un giocatore di poker, dalla faccia inespressiva che,  a ogni giro, rilancia, sembre più in alto, lo guardo e non so se ha buone carte o sta bleffando.  La questione è questa: dopo aver messo in campo tutte le armi del mestiere, aver incuriosito, offerto la sensazione di vivere una storia, fare un viaggio, nel finale mi sembra si perda, diventa meno incisivo, declina verso l'horror e mi spinge a rallentare la lettura, avvalendomi dei diritti  affermati dallo scrittore Daniel Pennac, in particolare del diritto di saltare le pagine.  Ho l'impressione che tanto è intensa la lettura quanto è veloce il processo di accantonamento e oblio. Insomma il dubbio è che tra tante qualità, questo libro nasconda il difetto di non lasciare il segno. Mancano 100 pagine alla fine, sono pronta a essere smentita anche se ho già sbirciato l'ultimo capitolo e non mi ha convinto molto.

lunedì 14 giugno 2010

Italia - Paraguay 1-1

Gli azzurri debuttano al mondiale. A Città del Capo piove a dirotto, è inverno. Il suono dei  Vuvuzela   è la colonna sonora del match, uno sciame festante e rumoroso. Sì, fa la differenza avere uno sciame d'api nelle orecchie per '90 minuti  però la festa è lì, nelle tradizioni, nella divertita sorpresa con qui si impara a conoscere un pezzo di mondo.
1208714734 L'Italia ha lasciato a casa la fantasia. Ci si interroga su moduli, acciacchi e si tentano pronostici.
Paraguay. Non lo incontriamo dal 1950, quanta acqua è passata sotto i ponti. Gli azzurri corrono, si impegnano  ma non riescono ad arrivare sotto porta. Si conterà solo un tiro  sul finire del primo tempo.
Marchisio e Gilardino non convincono. L'arbitro messicano  Archundia consente  ai paraguayani di praticare un gioco falloso e a tratti intimidatorio (vedi fallo su Montolivo al  '1 minuto), non sembra in grado di gestire la partita. Il Paraguay passa in vantaggio al 39' con Alcarez che, circondato dagli azzurri, riesce a trovare il tempo giusto e colpire  di testa.
Gli azzurri scendono in campo nella ripresa senza Buffon infortunato e sotto di un goal. In porta si piazza Marchetti, al centrocampo Camoranesi prenderà il posto di Marchisio e Di Natale, al '72,  sostituisce Gilardino. Gli azzurri tirano fuori grinta, carattere e fanno gruppo. Al '63 De Rossi, in area , riesce a a eludere la sorveglianza di un difensore avversario, si allunga e goaaalll!! Cercato, importante. L'Italia gioca, vuole  riuscire,  crede in una possibile vittoria, si spinge in avanti e finisce in crescendo.  Mi è piaciuta la grinta di Camoranesi, la personalità di De Rossi, Pepe che prova a mettere lo zampino in ogni azione. Criscito e Montolivo hanno fatto una prova positiva.
In una nazionale di giovani vecchi che provano ad amalgamarsi, tirando fuori motivazioni e coraggio, il carattere e la capacità di non abbattersi sono le note migliori. Molto resta da fare, la palla è rotonda e il mondiale è all'inzio. Rispetto alle amichevoli, contro Messico e Svizzera,  l'Italia è cresciuta e questa è già una buona notizia.

domenica 13 giugno 2010

Il segreto della mia felicità

INCIPIT
Finito di leggere, rimasi in silenzio per un po’. Lui non parlava  e così,  dopo essermi schiarito la voce, gli chiesi d’un fiato:
-    Come le sembra?

Don Pedro guardava davanti a sé. Sembrava profondamente concentrato, quasi assente.  Pensai che  stesse cercando le parole giuste per non ferirmi. Era un uomo diretto. Quando aveva qualcosa da dire,  lo diceva in faccia senza troppi preamboli. Forse lo frenava l’argomento.  Mi ero reso conto che l’amore lo costringeva al rispetto, ad un cauto timore, sorprendenti in un uomo della sua età ed esperienza.   Era arrivato a Roma da meno di un mese, spinto dal desiderio di approfondire le ricerche riguardo un letterato spagnolo del XVI secolo, tal Joaquìn Escrivantes, che aveva avuto la sventurata idea di trascorrere buona parte della sua  esistenza in Italia e di scrivere, in terra straniera, la sua opera più famosa ed acclamata.
Un professore dell’università l’aveva messo in contatto con me. Ci eravamo incontrati in un ristorantino di Trastevere dove mi aveva fatto la proposta:
-    Figliolo, mi serve un assistente che conosca la città e tu mi sembri un ragazzo sveglio. Non intendo fermarmi più di un mese quindi, se accetti, dovremo procedere a ritmo sostenuto.
Mi fissava, in attesa di una risposta che probabilmente già conosceva, decisi quindi di non tenerlo sulla corda.
-    Sì, Maestro.  Ne sarò onorato.
Avevamo siglato l’accordo con una stretta di mano e bagnato le labbra con un frizzante vino dei castelli.
Don Pedro era spagnolo fino al midollo, affermava  con una certa dose di sicumera   che ogni viaggio compiuto all’estero serviva a  fargli trovare nuovi motivi per amare il suo paese. Era un tipo ironico, un abile narratore e lavorare  per lui era stata la mia  migliore occasione dopo mesi di oblio.
Lo trattavo con la deferenza e il rispetto che i suoi titoli accademici  richiedevamo tuttavia, con il trascorrere dei giorni, vissuti a stretto contatto, iniziai ad aprirmi con lui su fatti che rientravano in una sfera piuttosto privata. Don Pedro mi trattava con condiscendenza, sembrava divertito e al contempo onorato dalla fiducia che gli riservavo, per questo mi ascoltava con interesse offrendomi anche qualche buon consiglio.
Gli avevo parlato di Chiara, di come c’eravamo incontrati in una libreria dove avevamo posato gli occhi sullo stesso libro. Ci frequentavamo,  scambiavamo opinioni su libri e film, lanciandoci frecciatine reciproche e provando a prevalere l’uno sull’altra, protagonisti di vivaci schermaglie.  Poi c’erano state le serate al cinema  e a teatro, una certa ritrosia da parte sua  che non sapevo se imputare alla timidezza o all’indifferenza alternata a momenti affettuosi e quasi intimi.  Mi ero innamorato di lei, come uno scolaretto alla prima cotta, ero tentato di incidere le nostre iniziali dappertutto, pensavo a quanti figli avremmo avuto, alla casa in cui saremmo andati ad abitare e mi davo dello sciocco un giorno sì e l’altro pure. Ero giunto alla conclusione che dovevo dichiararmi “E poi vada come vada” mi ero detto, in un raro momento di coraggio.
 Avevo trascorso due notti  in bianco, riempiendo fogli che regolarmente appallottolavo  ed infilavo nel cestino. Si erano salvate solo quelle poche righe. Ne ero geloso e insieme disgustato, mi sembravano finte, esagerate, quasi un invito alla fuga. 

Quella mattina mi ero alzato di malavoglia ed ero andato all'appuntamento con Don Pedro. Avevamo trascorso ore spulciando documenti in un polveroso archivio. Il ritrovamento di un paio di notizie utili a chiarire  i trascorsi dell’illustre letterato spagnolo, ci aveva rinfrancato. Don Pedro era di buonumore  ed io mi ero deciso  a   sottoporgli le righe che  avevo scritto per Chiara, sperando di venirne a capo, in qualche modo.

Don Pedro parlò:
-    Potresti avvicinarti a lei,  sussurrarle all’orecchio, con voce suadente:  Te quiero
-    Chiara è italiana.
-    Lo spagnolo è universale.
-    Si, ma anch’io sono italiano e almeno alla lingua vorrei rimanere fedele – accompagnai l’affermazione con un sorriso divertito.

Don Pedro alzò gli occhi al cielo, sembrava dire Non insisto però…
-    Da uno a dieci quanto tieni a questa chica ?
-    Undici – risposi convinto.
-    Bueno - disse in tono serio - ti consiglio di non usare la dichiarazione che mi hai letto.

Il  maestro  prese una penna e scrisse, rapido, qualcosa su un foglio. Dopo averlo piegato, lo allungò sul tavolo, dicendomi  - Leggi.

Lo presi in mano con timore, avevo quasi la sensazione di toccare una reliquia. Lo aprii, Iniziai a leggere e rimasi di sasso. Erano quelle le parole che cercavo da quando avevo conosciuto Chiara, le uniche che avrebbero potuto farmi toccare il suo cuore.  Rimasi incantato con il foglio aperto tra le mani. Alzai gli occhi e vidi  Don Pedro  che mi fissava preoccupato. Disse:
-    Paolo, amico mio, con l’amore non si scherza e non si imbroglia. Ora prendi quel foglio e strappalo.

Lo guardai incerto, speravo scherzasse, mi sembrava una crudeltà.
-    Strappalo. Dammi retta. Quando incontrerai Chiara troverai le parole giuste. Devi solo avere fiducia in te.
Feci come mi aveva detto. Piegai il foglio e lo strappai in più parti, il segreto della mia felicità divenne una manciata di coriandoli che lasciai atterrare sul pavimento.
Don Pedro, mi disse, osservandomi con simpatia – Paolo, ho fiducia in te. La conquisterai.
Prese in mano il quaderno degli appunti e si immerse nel suo lavoro.

lunedì 17 maggio 2010

inter ovvero al peggio non c'è mai fine

Pensavo di non parlare di calcio. Non c'è poesia nè divertimento nel seguire il campionato. Le speranze erano riposte in mister Ranieri e nella Roma. Purtroppo è andata male. Il Siena avrebbe meritato un rigore ma sarebbe stato inutile, l'inter avrebbe vinto lo stesso (è comodo crederlo) Ammettiamolo non c'era gara, l'inter è più forte, talmente forte da poter dimenticare l'educazione, il rispetto dell'avversario, disinteressarsi della violenza che imperversa negli stadi.  Pensavo di non parlare di calcio, non ne vale la pena  però quando ho letto lo striscione che gli ardimentosi giocatori interisti hanno  esposto sul pulman:  «Totti, anzichè il pollice in bocca mette
il medio in culo» ho cambiato idea. Lo striscione non è divertente, ironico o sarcastico, è banalmente volgare.
Questo striscione va sanzionato non ci sono scusanti o giustificazioni.  Non vale il detto: Finito il campionato, chiudiamo gli occhi. Il fatto che a esporlo siano giocatori
di calcio intenti  a
"festeggiare" lo scudetto, è ancora più squallido.


lunedì 3 maggio 2010

Classifica Wikio - maggio 2010


Ricevo e pubblico in anteprima la classifica dei blog di LaStampa.it,  relativa al mese di maggio.

1LaStampa.it - Analisi
2Scrivere i risvolti
3LaStampa.it - On the road
4Minima Moralia
5LaStampa.it - San Pietro e dintorni
6Bodegones
7...Cosi' e' se mi pare
8LaStampa.it - Il villaggio (quasi) globale
9Antonio Cracas
10Antonio Montanari Nozzoli
11LaStampa.it - Buongiorno
12LaStampa.it - Allacciate le cinture
13Sperare per tutti
14LaStampa.it - Piccoli Gekko
15Irene Spagnuolo
16GENERAZIONE P
17Journal intime

18Amanda Love... and the city
19LaStampa.it - Web Notes
20Sogni,
viaggi, un po' di Praga e di Sicilia

21Provati e Consigliati...il blog
22Barcollo
ma non mollo

23Piero masia
24Resistenza enogastronomica
25LaStampa.it - Questa è la mia città
26Lamiaeconomia
27LaStampa.it - Cose di Tele
28Cronache luterane
29Ciacole e altro
30Gianniruotolo
31Serendipity
32LaStampa.it - Arcitaliana
33LaStampa.it - Centro messaggi
34LaStampa.it - Desktop
35LaStampa.it - Digita Musica


Classifica stampata
da Wikio




Per me  è un mese un pò speciale, il 17 maggio 2006 nasceva Serendipity. Vorrei ringraziare La Stampa per avermi messo a disposizione questo spazio, i blogger e i lettori, preziosi compagni di viaggio.Grazie!

Trieste

Ho attraversato tutta
la città, 
Poi ho salito un erta,
popolosa in principio, in la deserta,
chiusa da un muricciolo:
un cantuccio in cui solo
siedo; e mi pare che dove esso termina
termini la città.


Trieste ha una
scontrosa grazia. Se piace,
è come un ragazzaccio aspro e vorace,
con gli occhi azzurri e mani troppo grandi
per regalare un fiore;
come un amore 
con gelosia.


Da quest'erta ogni
chiesa, ogni sua via
scopro, se mena all'ingombrata spiaggia,
o alla collina cui, sulla sassosa
cima, una collina, l'ultima s'aggrappa.
Intorno
Circola ad ogni cosa
un aria strana, un aria tormentosa,
l'aria natia.


La mia città che in
ogni parte è viva,
ha il cantuccio a me fatto, alla mia vita
pensosa e schiva. 

(U. Saba)


101_0746

venerdì 16 aprile 2010

Bum

La palla le venne restituita  in ritardo, era ormai nella fase discendente. Si finse la valchiria che non era, allungò il braccio  e la sfiorò. La palla superò d'un soffio la rete assumendo l'andatura sbilenca di un palloncino gonfiato troppo e andò a posarsi, lieve, entro la linea di fondo campo.

sabato 10 aprile 2010

Divagazioni


E' piovuto dall'inizio alla fine.
Il cielo, grigio e irregolare, sembrava pronto a rovesciarsi sulla
terra. Non
101_7500
restava che chiedersi quando e sperare  di trovarsi al riparo.  Le
persone si posizionavo sotto coperta, vicino
ai vetri, indossavano impermeabili, imbracciavano macchine fotografiche,
masticavano un ultimo snack prima che il battello si staccasse dalla
riva per
iniziare il tour. Noi scegliemmo di andare al piano di sopra, scoperto,
dove
alcuni  pennuti passeggiavano solitari e  i
seggiolini arancioni avevano la consistenza di  opachi
pezzi di plasti101_7513ca. Un posto vicino alla
ringhiera  era la meta,  passammo un
fazzoletto, ci sedemmo. A turno lamentavamo i primi brividi di freddo,
qualche  pentimento,
ci spingevamo fino a  nefaste previsioni
quando  le prime gocce cominciarono a cadere e il battello 
si decise ad
abbandonare la riva.   Tirammo su i
cappucci, decisi a   rimanere ai nostri
posti. Una voce gracchiante iniziò a  spiegare
ciò che avremmo visto, ordinatamente ripeteva il messaggio in cinque
lingue
diverse. Ometteva l’italiano e noi ci aggrappavamo al francese,
incantati da
ciò che vedevamo lentamente profilarsi dinanzi a noi.


venerdì 9 aprile 2010

La giornata di uno scrutatore

Romanzo breve, racconto lungo. Pagine dense di riflessioni, interrogativi, immagini che non si dimenticano. Domenica mattina, Amerigo Ormea esce di casa  presto per recarsi al seggio dove è stato nominato scrutatore. Il seggio è nella Piccola Casa della Divina Provvidenza, Il Cottolengo di Torino, una città nella città. E' il 7 giugno 1953, la  nuova legge elettorale prevede un premio di maggioranza per chi raggiunge la maggioranza assoluta di voti, le opposizioni la chiamano "legge truffa".
Amerigo Ormea svolge un compito delicato, deve vigilare rispetto alle procedure di voto, impedire che le persone non in grado di intendere e volere siano condizionate nel votare per la DC.
Amerigo incontra un umanità diversa, sofferente, estranea al mondo, assente. Si interroga, sente crollare le certezze, prova a chiedersi quale sia la normalità.  Pazienti  si prodigano servizievoli nell'aiutare ad allestire il seggio, orgogliosi si recano alle urne per compiere  un operazione  che li fa sentire vicini alle persone che stanno fuori. Alcuni sul viso portano i segni della lontananza dalle cose terrene.  Un padre, contadino, si reca ogni domenica a trovare il figlio, lo guarda negli occhi mentre gli rompe delle noci, cerca di mantenere un contatto. Nel legame con il figlio malato trova la sua ragione di vita. Nel breve spazio di una giornata Amerigo si trova a riflettere sulla vita, le relazioni umane, la possibilità di essere padre. Un lungo viaggio, che lo tocca nel profondo.

La giornata di uno scrutatore
Italo Calvino

martedì 6 aprile 2010

Mine vaganti


(un particolare)


Una donna cammina in una strada di campagna, sembra spinta
da un urgente bisogno.  Lunghi capelli biondi le incorniciano il volto;
gli occhi azzurri, irrequieti, sono dighe  sul punto di cedere.  Indossa
un abito bianco e un velo ricamato, solleva i lembi dell'abito per facilitare i
suoi passi.  


Si ferma, incerta, davanti a una costruzione in pietra,
semi diroccata. Sale le scale, apre la porta e incrocia lo sguardo di un uomo.
La stanza è in disordine, il letto sfatto, l’uomo  sorpreso. La donna
solleva una pistola. E'  sul punto di uccidere, uccidersi. Il metallo,
gelido, le sfiora la nuca, le dita accarezzano il grilletto. Lui la osserva
agghiacciato. Si riscuote, le va incontro, le toglie la pistola dalle mani. Sono uno di fronte all'altra, soli, tormentati, ormai persuasi di non avere più  speranza. L’uomo indossa la giacca, annoda la
cravatta, prende per mano la donna e insieme escono dalla casa, scendono le
scale, ritornano al paese.  Quel giorno la donna si sposa, con la morte nel
cuore e il sorriso sulle labbra.

il film

MINE VAGANTI


Italia, 2010, Commedia, durata
110’


Regia di Ferzan Ozpetek


Con Riccardo Scamarcio, Alessandro Preziosi, Carolina Crescentini, Nicole
Grimaudo, Elena Sofia Ricci, Daniele Pecci, Ennio Fantastichini, Lunetta
Savino, Ilaria Occhini, Bianca Nappi, Dario Bandiera

lunedì 5 aprile 2010

Informazione: tra grida e silenzi


Marco Bardazzi, nell'articolo
"Chi ha ucciso la CNN?", scrive del calo di ascolti  del
network americano, scavalcato da Fox e MSNBC.  Il giornalista si chiede,
se tra i motivi della crisi,  vi sia la scelta di portare avanti un tipo
di informazione obiettiva rispetto a un'informazione gridata e  di parte,
condotta dai network concorrenti.


Non conoscendo bene la realtà
americana, basandomi solo su quanto letto in questo articolo, provo una
simpatia istintiva per la Cnn di Ted Turner. Penso che il giornalismo debba
puntare all'obiettività, privilegiando l'informazione rispetto ai giudizi,
senza smarrirsi  per inseguire il favore del pubblico.


Siamo  in un'epoca in cui
per molte persone  è "rassicurante" ascoltare un telegiornale,
un programma d’informazione/intrattenimento  e  trovare le proprie idee espresse con
gli stessi limiti, gli stessi rassicuranti confini. Pensare di avere ragione e
non doversi confrontare con l'Altro, il Diverso.  Forse è un segno
dell'incertezza che viviamo, forse è un'umana debolezza che troppi mezzi
d'informazione sembrano disposti ad assecondare dando spazio ai gossip, alle
notizie leggere, agli scoop gonfiabili  e
nascondendo sotto il tappeto il giornalismo d'inchiesta, i reportage, la cruda
e spesso spiacevole  realtà.


Le grida non riescono però  a nascondere
l’abulico silenzio che attraversa la nostra epoca.



Testimone inconsapevole

 
Romanzo d'esordio di Gianrico Carofiglio, non è un giallo classico. E' ambientato a Bari, ha per protagonImagescarista l'avvocato Guerrieri, ne segue la vita privata, la crisi causata dalla separazione, il tentativo di risalire. In un processo l'avvocato difende un extracomunitario dall'accusa di aver sequestrato e ucciso un bambino. Buona parte del romanzo è occupato da questo caso.  Carofiglio riesce a catturare l'attenzione del lettore, far diventare Guerrieri un "personaggio" quasi in carne ed ossa, capace di attirare simpatia o biasimo,mentre ci spiega i trucchi del mestiere, la sua strategia processuale, il perchè è finito a fare quel mestiere.

domenica 24 gennaio 2010

La Signora è scomparsa

Si sono perse le tracce  di una
vecchia  Signora di 112 anni  che godeva  di buona  salute, si distingueva per carattere indomito
e ammirazione piuttosto diffusa. Si dice sia nata su una panchina.  E’ solita mostrarsi in abbigliamento sportivo
a strisce verticali bianche e nere, viaggiare in Europa, fare base a Torino.  Chi fosse in grado di grado di fornire
informazioni, utili al ritrovamento, è pregato di farsi avanti.  


E meglio affidarsi all’ironia,
alla critica feroce o al compatimento? Ammetto di non conoscere la cura per il  disastro che si sta compiendo a Torino. Rimane
la perplessità  per come si è giunti  a questo punto, il timore che si possa
scendere ancora  più in basso, la
sensazione che non ci sia un futuro.


L’argomento del giorno, al dì la
della crisi bianconera,  è il destino di
Ferrara. Si è trovato a gestire un momento difficile, con le buone intenzioni ma privo della necessaria esperienza e di una dirigenza forte alle spalle.  C'è chi continua a sostenere Ciro dicendo che bisogna lasciargli tempo e un cambio non equivarrebbe a un miglioramento, intanto però  si fanno i nomi di possibili sostituti, indecisi se affidarsi a un traghettatore o ad un taglio netto.  Hiddink costa molto, Trapattoni non sembra intenzionato, Laudrup non ha esperienza. Le alternative sono poche e ci si chiede se debbano essere in linea con il ritorno di Lippi. Come se  potesse essere lui la soluzione.

Il fatto che la dirigenza bianconera abbia pensato di  chiedere alla squadra se doveva esonerare l'allenatore penso sia indicativo della crisi che sta attraversando la Juventus. Spendere molto in campagna acquisti non garantisce la vittoria dei campionati o, più modestamente, una squadra che funzioni. Questa dirigenza si sta caratterizzando per  l'incapacità di decidere.  Dimostra di non avere  avuto fiuto, di non essere stata lungimirante. Sembra incapace di fornire una soluzione.

I giorni passano, ci si trova a discutere sulle diverse gradazioni delle sconfitte, si spera in un intervento della proprietà  e si fatica a intravedere un futuro.

sabato 23 gennaio 2010

Ranieri

ovvero non tutto il male viene per nuocere

A volte accade che un'azione scorretta spinga, chi la subisce, verso una nuova e più  appagante felicità.Claudio_ranieri

Ranieri è  stato esonerato, l'anno scorso,  a due giornate dalla fine  del campionato. Il motivo è incerto,   rimane brutta, priva di stile,  la maniera in cui è stato messo allo porta.
 Il mister ha praticato la via del silenzio. Fermo ai box gli si è presentata l'occasione della vita: allenare la Roma. Per lui, romano del Testaccio, suo tifoso da sempre, probabilmente un sogno. I giallorossi versavano in cattive acque ma Ranieri non si è scoraggiato. Preso il timone, con piglio sicuro  ha guidato la sua squadra verso il terzo posto operando sorpassi, recuperando punti, divertentosi. Ranieri aveva già vinto, prima di scendere in campo a Torino, questa sera, i numeri parlano per lui, sa di essersi comportato correttamente, ha dimostrato, ancora una volta, di essere un professsionista e un signore  E' difficile non provare simpatia per lui, con  il suo modo di fare educato e l'aria di un bambino a cui è stato regalato il gioco più desiderato. Bravo, si merita ciò che ha. Lo osservo con un pò di nostalgia.

venerdì 8 gennaio 2010

Gli occhiali di Cavour

Piccolo gialImage_book.phplo ambietato a Torino. Sono spariti gli occhiali di Cavour.
Il capitano, in pensione, Floro Flores  si occupa in maniera non
ufficiale delle indagini. Il furto è avvenuto presso "Il ricetto del
conte" celebre ristorante che ospita cimeli di Cavour. I sospetti si
concentrano su un ballerino di samba, brasiliano, misteriosamente
scomparso, le indagini si ingarbugliano. Il dottor Bensi, proprietario
del ristorante, pochi giorni dopo aver denunciato il furto scompare. Flores inizia a pensare di essere troppo vecchio ma non desiste e tra
sospiri culinari, appostamenti, vividi tramonti e fredde notti si muove
alla ricerca della verità.
116 pagine ironiche, disimpegnate, corrono via veloci insieme alla voglia di sapere come sono andate le cose. Una buona, piccola, leggera, evasione.


Gli occhiali di Cavour
Laura Mancinelli
Ed. Einaudi

mercoledì 6 gennaio 2010

Persuasione

E' l'ultimo romanzo scritto da Jane Austen, pubblicato postumo, ha in sè la serietà del commiato.

Anne Elliot ha commesso un errore Persuasione rompendo il fidanzamento con il capitano
Wentworth. Si era fatta persuadere che fosse un matrimonio sconveniente in
quanto lui è di una classe sociale inferiore. Sono trascorsi otto anni e Anne,
ragazza sensibile, colta, generosa, ha compreso di aver sbagliato, è ancora
innamorata e convinta che oggi si comporterebbe diversamente.

Il padre,
baronetto, ha messo in difficoltà le finanze della famiglia, è costretto ad affittare
la sua casa. I parenti del capitano Wenthworth, primi a farsi avanti,  si rivelano gli affittuari
ideali e un ottima occasione  per rivedere
il bel capitano, passato di missione in missione e capace di mettere insieme
una piccola fortuna.


Il primo incontro è vissuto con imbarazzo, poi la frequentazione diventa più naturale, fanno parte della stessa compagnia di amici. L'amore sembra essere perduto. Wentworh  si mostra disinteressato forse perchè l'ha dimenticata e se fosse i l cuore ferito a dettarne i gesti?  La vicinanza e una
nuova maturità sembrano donare a Anne e Wentworth  una nuova possibilità, anche se gli ostacoli
sono tanti, prima le incomprensioni e poi la gelosia li allontanano nuovamente almeno fino a quando Anne...


La scrittrice  è intenta a dirci ciò che ritiene importante. Gli affetti sinceri, il rispetto, la sensibilità, la cultura,  la lealtà, i piccoli piaceri della vita come un viaggio, un bel paesaggio o una discussione a dispetto di  persone opportuniste che provano a manovrare il loro prossimo e di un'aristocrazia
vuota e orgogliosa che si perde nella forma e sembra, a tratti, dimenticare di vivere.