domenica 26 settembre 2010

Mangia prega ama

Elizabeth Gilbert ha un buon lavoro, una bella casa, un marito e una scatola ove ripone  le informazioni  riguado i luoghi che vuole  vedere prima di morire. Non è felice. Sente che le manca qualcosa, divorzia, si imbarca in una tormentata storia d'amore infine, quando anche questa sembra naufragare, decide di partire per un Mangia prega ama locandina viaggio intorno al mondo, si dà un anno di tempo per ritrovarsi, per costruire un nuovo equilibrio.


Tre capitoli schematici e piuttosto slegati  rappresentano la maggior parte del film. Mangia Prega Ama. Italia India Indonesia. Corpo Spirito Cuore.


La prima tappa italiana è riservata al corpo ovvero al cibo, da consumare in libertà, con inquadrature degne della "Prova del Cuoco",  stereotipi a gò gò e la sensazione di una Roma da cartolina, guasta, priva di significato.


In India Elizabeth si dedica alla preghiera, riflette sugli errori commessi, sulla capacità di perdonare e perdonarsi.


In Indonesia,a Bali, ritrova il Santone che le aveva predetto il suo percorso, tra divorzio, povertà, ricchezza e viaggio.  Le viene chiesto di ricopiare dei documenti, conosce una donna divorziata che da sola deve crescere sua figlia, incontrando mille difficoltà. Liz conosce anche un uomo brasiliano (Javier Bardem) divorziato che per prima cosa prova a investirla e poi...


Il film è tratto dal romanzo omonimo di  Elizabeth Gilbert che racconta l'esperienza da lei vissuta.


Sorprende il fatto che il film, pur essendo tratto da una storia vera, risulti finto, artefatto, poco coinvolgente.  Si, le idee di fondo sono buone: aprirsi alla vita, al viaggio come trasformazione, non aver paura di  lasciare tutto per cercare un proprio equilibrio, imparando da ogni persona che si incontra. Il film cade quando, per dimostrare la propria tesi,  si contraddice avvalendosi  di stereotipi, personaggi costruiti a tavolino, bidimendosionali poco compatibili con l'idea di autenticità che la pellicola sembra voler proporre. Conosciamo la superficialità con qui è stata trattata l'Italia, possiamo legittimamente chiederci se stessa sorte sia toccata anche all'India  e a Bali.   La pellicola è lunga 140 minuti, troppi per una storia  nella quale si fatica a mettersi nei passi della protagonista, capire cosa pensa, il perchè di certe azioni e situazioni che vengono presentate come un asettico elenco, indifferente al cuore.


A un certo punto, verso la fine, Julia Roberts, alias Elizabeth Gilbert, assume l'espressione che aveva in "Se scappi ti sposo" sembra pronta alla grande fuga e...  strappa un sorriso a una spettatrice sull'orlo del sonno.

4 commenti:

  1. Stupendo e affascinante....
    Vi suggerisco di visionarlo

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  2. sto leggendo il libro -bello!

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  3. E' piuttosto difficile trovare novità e qualità in un tipo di opere che, ormai da 140 anni, ricalca gli schemi del romanzo orrocentesco, se va bene, dai fuilleton, se va male.
    Allo stesso modo, questo accade per il cinema, che con l'introduzione del colore, assunse definitivamente degli schemi rigidi, quali li conosciamo oggi (durata di 1,5/2 ore, intreccio amoroso irrilevante per la storia ed utilizzateo come piano di collegamento, settorializzazione "al femminile", "per bambini", eccetera).
    Dunque, porrei il legittimo sospetto che il libro possa essere bello e avvincente, ma che utilizzi schemi ben collaudati, che emergono drammaticamente quando si arriva alla macchina da presa.
    Sere fa, con amici, constatavamo che sono anni che non si vedono film che, oltre ad essere ben girati e ad avere una storia intrigante, riescano a raccontare cose nuove od a proporre una visione diversa della realtà. Praticamente, dopo Fargo e Matrix, il nulla.
    Ero una persona che andava a cinema 3 volte alla settimana rigorosamente in terza fila sotto lo schermo, ho visto buona parte della produzione europea fino ai '90 e moltissiimi Amovie e Bmovie USA, conosco ben il cinema giapponese, ma oggi dico che è meglio non sprecare tempo e denaro andando a cinema senza aver accuratamente verificato la qualità dell'opera.
    Ciao

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  4. ... bello il lapsus disgrafico "orrocentensco".
    Me lo devo rivendere ...

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