giovedì 31 agosto 2006

Pubblicità regresso

Calcolatrici xxxx  più vendute di una partita.


L'Urlo ritrovato

Oggi è stato ritrovato "L'urlo" (1893) di Munch, celebre quadro rubato a Oslo un paio di anni fa.   Non è il mio quadro preferito, per molto tempo ho pensato  che Lurlovi fosse rappresentato un orrore fine a stesso, triste e poco comprensibile. Poi quando è stato rubato ho letto su un giornale ciò che scrisse il pittore, nel suo diario, per descrivere la scena dipinta: «Camminavo lungo la strada con due amici quando il sole tramontò, il cielo si tinse all'improvviso di rosso sangue. Mi fermai, mi appoggiai stanco morto ad un recinto. Sul fiordo neroazzurro e sulla città c'erano sangue e lingue di fuoco. I miei continuavano a camminare e io tremavo ancora di paura... e sentivo che un grande urlo infinito pervadeva la natura.»* L'ho osservato con più attenzione, ho provato a immedesimarmi nella scelta. Mi ha colpito molto. Certo non è un quadro adatto a essere messo in salotto per rallegrare l'ambiente però è profondo, angoscioso, reale nella sua tragicità. Un uomo che passeggia insieme a due amici, incontro al tramonto, sicuro di sè. La luce  si fa rossastra, quasi fosse di sangue il cielo e l'ambiente che lo circondano, improvvisi attacchi alle sue poche certezze. Quest uomo entra in crisi, preda dei dubbi e della stanchezza di chi ha passato la vita ad adeguarsi. Sente la paura che lo avvolge e lo sfianca. I due amici, le due persone con le quali potrebbe condividere il peso di questa visione si allontano ignari o forse, più gravemente, incuranti della sua sofferenza. Un urlo gli sale prepotente da dentro, un urlo angosciato che gli muore in gola, lo sente vibrare nella natura che lo circonda. Si sente solo, non in grado di capire ne di essere capito. L'urlo diventa la sua ultima possibilità per comunicare il suo stato d'animo ad un mondo che sente diverso e estraneo. 



* tratta da wikipedia


BLOG OSPITE

mercoledì 30 agosto 2006

rosa, solo rosa

Lo spensierato ciclista, vestito di stracci, spense la mia curiosità. Guardandolo con più attenzione mi resi conto che quelli che avevo preso per piccoli pezzi di stoffa erano in realtà dei fogli di giornale, tutti rigorosamente rosa, cuciti con fili d'oro e d'argento a formare un vestito.  Le grandi mani nodose erano serrate sul manubrio. Il tempo non aveva scalfito quel sorriso beffardo. Divenne l'incubo delle mie notti insonni.

Non lo so ma mi piace l'idea.. (2)

Buon compleanno Pavel !!


Nedved è stato per me una boccata d'aria pura. Quest’estate ho avuto più volte l'impressione che quest'aria mancasse, fosse pesante, avvelenata. Pavel Il 28 luglio La Stampa ha pubblicato un'intervista nella quale il giocatore ceco spiega ciò che lo ha  spinto a rimanere nella Juventus quando molti giocatori già erano fuggiti e altri stavano preparando la fuga a suon di capricci e pestate di piedi. Rispetto l'uomo e il calciatore. Mi piace. Ha spiegato il suo ottimo rapporto con i tifosi dicendo che "la gente ama chi non molla mai". Penso che abbia ragione. Credo sia questo che ha fatto grande la Juve e i suoi giocatori . Non mollare mai, avere sempre la voglia di lottare, di fare meglio senza accontentarsi o accampare scuse. Nedved: "La Juve anche in B è sempre la mia squadra" Può sembrare una frase scontata, non è così se si pensa a chi a parlato del dovere morale per la Juve di lasciare liberi i suoi campioni. In barba al senso di responsabilità liberi tutti, di fare i propri comodi, di inseguire i soldi e dimenticare gli impegni presi. Il messaggio portato avanti da alcuni giornalisti sembra sia stato che giocare in serie B è una vergogna grave al punto da stroncare una carriera.


Nedved afferma di aver un debito di riconoscenza con la società e la famiglia Agnelli. Gli hanno chiesto di restare e scappare adesso non gli sarebbe sembrato bello. Pavel: "Io ho la Juve nel cuore e finchè le gambe me lo consentiranno correrò per questa maglia. Anzi, ormai credo proprio che concluderò qui la carriera" 


Sono orgogliosa che giochi nella Juve. Mi sembra importante il messaggio che dà al mondo del calcio, bello e pulito.


Grazie Pavel, grazie di cuore per questa boccata di aria pura.



Non lo so ma mi piace l'idea..

Chistian Vieri ha segnato il 1000 goal della nazionale italiana di calcio nel marzo 1997. Ha giocato in tante squadre, tra le altre Atalanta, Juventus, Atletico Madrid, Lazio, Inter, Milan, Monaco. La Juve nel 1996 era una squadra giovane, molto rinnovata in attacco. Dopo la vittoria in Champions League Vialli e Ravanelli erano andati via, al loro posto Boksic , i giovani Nicola Amoruso e Vieri a contendersi il posto con un talentuoso Pinturicchio. L'Alex dei sogni, belli vissuti il mercoledì sera davanti alla tv tra giocate e punizioni, gustando  i rinomati e sfolgoranti goal alla Del Piero. Christian Vieri non era partito con il piede giusto,  ricordo un articolo nel quale l'avevano paragonato a un paracarro. Poi l'esplosione improvvisa e maestosa. Vieri_1 Aveva iniziato a segnare, segnare tanto diventando un beniamino della curva bianconera. Anche l'avvocato si era affeziato a Vieri ed era rimasto sorpreso quando fu annunciata, a fine stagione la sua cessione al club madrileno. Una decisione ancora adesso incomprensibile.


Ne è passata di acqua sotto i ponti. In questo periodo il giocatore combatte con un ginocchio che gli dà dei problemi, si era iniziato a parlare di un suo ritiro dal calcio giocato. Lunedì è arrivata la notizia che ha firmato un contratto con l'Atalanta. Un ritorno alle origini con il minimo sindacale 1500 euro al mese (che crescono con i goal segnati e la salvezza) e un obiettivo  "I soldi per me non sono importanti mi interessa solo  tornare a giocare". Bello! Mi piace l'idea di un calciatore che per continuare a fare quello che gli piace rinuncia a ingaggi faraonici e  si rimette in discussione. Il piacere di giocare prevale sui soldi. Di corsa dietro a una palla inseguendo il sogno che ha ogni bambino, ogni persona conquistata dal gioco del calcio: fare goal!!


In bocca al lupo! 

lunedì 28 agosto 2006

Tra cielo e terra

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Domenica ho vissuto un piccolo scorcio di vacanza. In valle Maira, sono andata a Elva (cn), 1637 m s.l.m.




Lì ho visto la chiesa Parrocchiale, sono interessanti gli affreschi del XV secolo e gli elementi decorativi presenti anche all'esterno dell'edificio. 100_1494


Sono salita sul colle e poi scendendo  verso  Stroppo ho pensato di fermarmi per fare la foto che ho postato ieri.  Il panorama è meraviglioso. Prevale la natura incontaminata e quando il sole splende nel cielo la serenità è qualcosa che ti sembra di poter toccare. Se non c'è foschia si può  vedere anche uno spicchio di pianura.

sabato 26 agosto 2006

Italia Lituania 68 a 71

Siamo fuori. Bellissimo Mondiale degli azzurri ma... perchè fuori?


Stamattina la sveglia mi  ha tradito. MI sono svegliata poco prima delle 7. Ho acceso la tv mentre trasmettevano le immagini della partita con il Portorico. L'Italia oggi, stando al pronostico, era la favorita.  Inizia il terzo quarto di una partita in equilibrio. La Lituania finisce con un vantaggio minimo, l'Italia si riavvicina con un tiro da 2, un altro all'ultimo secondo va fuori. Il leit motiv della partita sembra non entra, la palla non vuole entrare, beffarda segue il bordo del ferro per poi andare lontano. Inizia il quarto tempo.  Il punteggio degli azzurri sembra bloccato. 2' 30"" a quota 52. Un canestro da 2 e si riparte con fatica. I lituani raggiungono un vantaggio a doppia cifra. 10 punti, mancano pochi minuti alla fine e i tifosi giallo-verdi già esultano. Gli azzurri insistono, tirano da ogni posizione. Quando ogni speranza sembra perduta, il canestro stregato, Mordente, Di Bella e Belinelli ci spingono a credere, crederci ancora alla vittoria, al fatto che sono più bravi di quanto hanno dimostrato fino a quel momento. Si arriva a meno 2. Gli errori dai tiri liberi pesano come macigni su questi ragazzi che hanno dato tanto ma non sono stati abbastanza freddi. Questa imperferzione stride maggiormente a confronto con la precisione lituana che ha beneficiato molto di questa possibilità. Gli ultimi secondi sono da cardio palma, difficili da descrivere. Belinelli che ha il tiro da 2 del pareggio e concretizza solo una volta. Un cronometro che ci toglie 60 centesimi, un nulla che significa qualcosa in una partita persa così, più volte. Il contropiede lituano, 4 tiri liberi falliti, e un canestro da 2.  L'Italia a inseguire a meno 3. Le strategie  si mescolano nelle parole dei cronisti che non sanno più a cosa pensare per crederci ancora. I secondi scorrono inesorabili e veloci. Quando tutto sembra ormai deciso Basile subisce un fallo su un tiro da 3, gioia dei cronisti e mia scoprendo che ha diritto a 3 tiri liberi. Il pareggio è possibile, è lì a portata di mano. Questa la sensazione, Basile, il capitano, non ha giocato una bella partita e ha la possibilità di lasciare un segno importante. Un rigore insomma, calciato in 3 fasi con tutti che osservano e sperano. Sperano che tu faccia canestro, che tu sbagli, aspettano il tuo tiro e tu lo sai. Sei lì solo con il canestro compagno di tante avventure. Ti sembra quasi ostile, lontano, indifferente alla tensione che hai accumulato, all'importanza di quel tiro. Basile sbaglia, la partita finisce. Tutti  i compagni vanno a consolarlo. Riprendo una canzone che non ricordo più e la cambio " Un campione non si vede da come fa un tiro libero."


Bravi azzurri! Peccato, è stato un bel mondiale, meritava un'altra conclusione.

venerdì 25 agosto 2006

C’è un momento, forse solo nei sogni, nel quale tutto sembra avere un ordine, un significato. Ogni pezzo viene messo al posto giusto. Ti sembra di capire e di essere capita. Ti senti amata e sai di amare. Non ti fai domande e non cerchi risposte. Sei felice e non te ne rendi nemmeno conto. Non sai se è durato un giorno, un mese, una vita. Sai però che quel momento c’è stato e lo senti tuo, presente quando è ormai solo un ricordo che rivive nella tua mente. Ti tormenta e ti consola. Ti chiede di essere ricordato e non sa se sarà ripetuto. Se lo hai veramente vissuto o se è solo il frutto della tua fantasia.

Italia- Portorico 73 a 72

1 punto. La differenza


La partita giocata ieri è stata la quinta in sei giorni. Gli azzurri davano l'impressione di essere un pò stanchi. Il match contro gli Usa disputato il giorno primo era stato piuttosto impegnativo. L'Italia ha vinto chiudendo così il girono al secondo posto.


Entrambe le squadre combattono, difendono in maniera spesso aggressiva. Si vedono corpi a corpi e tuffi che fanno dubitare riguardo la disciplina che si sta seguendo. Verso metà partita  un commentatore afferma di avere l'impressione che nessuna delle due squadre voglia vincere. Impressione sbagliata dettata forse dal fatto che il risultato non si sblocca. La palla viene lanciata da sotto canestro, da più lontano. Segue beffarda il bordo del ferro per poì saltare lontana rimettendo tutto in gioco.


Il risultato è in bilico fino all'ultimo secondo. A meno di un minuto dalla fine l'Italia è in vantaggio 73 a 70. Ayuso a 29''' dal termine segna una doppia che rimette tutto in discussione. A - 1 è d'obbligo crederci, i portoricani lo fanno. Gli azzuri riprendono la palla, non riescono a far canestro. Palla a Portorico, ultima azione, pochissimi secondi. Arrosyo è costretto a tirare quando è a 9 metri. La palla non entra. L'Italia ha vinto!


In quel momento, quando la palla è ferma e il 0j4hynof280x190risultato fissato si vede l'importanza di un punto. Le due facce di una partita. Un punto che consegna agli azzurri la felicità di essere al secondo posto e continuare l'avventura mondiale. Un punto che segna i portoricani speranzosi e irruenti fino all'ultimo, ora  fuori dai giochi. Hanno disputato l'ultima partita al mondiale. E' questione di un attimo e osservo le loro facce, sembra che si sia spento qualcosa. Sono lì a elaborare la sconfitta, quasi fosse un lutto. L'espressione triste. Lo sguardo perso nel vuoto o puntato per terra. Sembra che facciano fatica a mettere un piede davanti all'altro. Escono così, come piegati sotto il peso del risultato a loro avverso.


L'Italia gioca domani contro la Lituania alle 6 del mattino. In bocca al lupo ragazzi!


giovedì 24 agosto 2006

Va bene la protesta ma ...

.... si cerchi una soluzione


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Oggi è il primo giorno. I cacciatori hanno iniziato a sparare. Alle 6,30 il primo capriolo  ucciso e regolarmente ripreso dalle telecamere. La zampa spuntava da sotto il telone. Una brutta immagine.


La campagna contro l'uccisione dei caprioli è iniziata qualche settimana fa. Un telegiornale si vanta di essere stato il primo a sollevare il caso. L'ha condita con una buona dose di ipocrisia puntando sull'emotività dei telespettatori. Questi  animali, belli sono stati ribattezzati Bambi. e usati per aizzare la protesta e l'audience. Sono passati i giorni e si è rimasti sul piano della commozione, della protesta, delle esternazioni, delle minacce degli interessati, di soluzioni alternative si è avuto poco tempo o poca voglia di parlare. Bambi, protagonista del film Disney era un cervo. Poco importa, la sua storia, una delle più tristi  che ha raccontato la Disney si prestava bene alla situazione.


Il piano di abbattimento predisposto dalla Regione Piemonte nasce a seguito di un problema reale. I caprioli presenti sul territorio sono in sovrannumero. I danni che causano alle culture aumentano con il tempo. In 12 anni i caprioli sono stati responsabili di 1000 sinistri nella regione. L'abbattimento è una soluzione, probabilmente non la migliore. Si può pensare a delle alternative che salvino la vita di questi animali. Trasferirli operando studi di fattibilità. Il controllo delle nascite, il lancio di una campagna "ospita un capriolo salva una vita". A qualcosa bisogna pensare   ora più che le proteste a mezzo telecamera servano  soluzioni alternative, per fermare i cacciatori e per dare serenità a chi vive in mezzo ai caprioli con i problemi che questo comporta. Problemi che osservando gi animali  solo in televisione non si possono comprendere appieno.


mercoledì 23 agosto 2006

Italia-Usa 85 a 94

L'Italia ha affrontato, all'ora di pranzo, gli Usa. Il dream team, una squadra di extra terrestri che raramente scende sulla terra. Oggi è stato uno di quei giorni.  Sono Basket2dovuti scendere sulla terra per giocare contro un'Italia indomita e coraggiosa che li ha tenuti impegnati durante tutta la partita e  a tratti ha fatto sperare il colpaccio. Gli Usa hanno una media di 115 punti a partita. Tuttosport  stamattiva lanciava il pronostico-speranza che  il team americano non raggiungesse quota 100, così è stato. Il primo quarto ha visto gli azzurri partire in quarta, per lunghi tratti in vantaggio. Il team americano è stato sostituito in toto,  hanno concluso il tempo in vantaggio di 6 punti.  Il 2° quarto ha visto l'Italia in rimonta, concludere con 9 punti di vantaggio sugli americani che nel 3° quarto hanno ribaltato la situazione portandosi avanti di 7 Basket_1punti. L'ultimo quarto è rimasto in bilico, per lunghi tratti incerto poi gli Usa hanno preso un vantaggio a doppia cifra  e l'Italia dietro a inseguire, a far vedere, in tutto il match, che classe e bravura non sono monopolio americano. Importante il gesto di Di Bella negli ultimi minuti. E' uno dei giocatori meno alti, lontano dai 2 metri degli avversari. Ha affrontato un americano, una montagna, è riuscito a fargli perdere la palla. Stava per andarla a recuperare quando il giocatore avversario gli è franato addosso sorpreso di quel che stava succedendo. L'essenza del basket  in fondo è questa,  crederci sempre, fino all'ultimo sapendo che basta poco per ribaltare una partita.


Il basket si basa su concetrazione e prestanza fisica, due qualità necessarie per affrontare i 40,  tiratissimi, minuti di una partita. Quattro quarti di 10 minuti. Minuti che danno l'impressione di essere ore, vedendo quante volte il risultato cambia, i frequenti capolgimenti di fronte, i punti guadagnati all'ultimo tiro. I giocatori devono trovare il modo di superare le marcature, passarsi la palla e avanzare rispettando le regole riguardo i passi, i tempi. Quando arrivano sotto canestro lì giunge il momento, si raccolgono le ultime energie per tirare  e concretizzare quanto dimostrato. Attenzione agli avversari, sempre in agguato per sventare il tentativo. Parte il tiro. La parabola, lenta e poi, poi la palla si infila nel canestro posto a circa 3 metri, 2 punti. Pronti a ripartire. Spesso ciò non avviene, vedi la palla che si avvicina, pensi "entra" e invece sfiora solo il ferro, carambola lontana intercettata da un avversario pronto a sorprenderti. I tiri liberi vedono il giocatore a tu per tu con il canestro, a sfoderare il proprio sangue freddo. Quando la palla non entra, credo sia quello uno dei momenti più difficili. Si hanno dei punti a portata di mano e non si coglie l'occasione. Un Basket5brutto colpo da sopportare, si prova a reagire, andare  avanti sperando  che non vadano a incidere sul risultato finale. La "tripla" è qualcosa di diverso, di magico. Il giocatore  distante dal canestro qualche metro che tenta la sorte, sfoggia le sue doti balistiche e tira.  I tifosi quasi trattengono il fiato con la speranza  di esultare. Guardo  la palla che parte, la sua strana parabola e mi chiedo se è stata una buona idea, se entrerà. Quando la palla giunge in fondo al  canestro  rimango  quasi a bocca aperta pensando bello!




Una scelta dignitosa

Gli sbarchi di immigrati sulle coste siciliane sono numerosi. Si ripropone così il fenomeno dell'immigrazione clandestina, le carrette del mare e il loro carico di storie, sentimenti che spesso non riescono a giungere sani e salvi a riva. Cosa fare? Difficile dirlo. Qualcuno afferma che è necessario essere buoni e non buonisti, rispettare le regole e renderle più severe. Si chiede collaborazione all'Europa e ci si chiede a chi affidare il controllo di questo tragico fenomeno.


Farli restare o farli tornare indietro sono i primi interrogativi che ci si pone alla notizia degli sbarchi. Vedendoli arrivare con il loro carico di sofferenza, dopo aver rischiato la vita sembra una crudeltà farli tornare indietro. Farli restare alimenta le speranze di chi deve ancora partire, chi crede che l'Italia e l'Europa siano la terra promessa. La terra dove poter agguantare un pò della fortuna necessaria per sfamare la famiglia, per dare un futuro migliore ai propri figli insomma per cambiar vita.   Indirettamente vengono alimentati questi viaggi della speranza a cui sta dietro un traffico di denaro e di vite umane spesso sacrificate e messe in gioco.


E' difficile rimanere indifferente rispetto alla povertà degli immigrati, al fatto che spesso provengono da paesi dove ancora si muore per fame.


Non si può trasferire la popolazione dei paesi poveri in Europa e negli Usa, non è una soluzione perseguibile, in termini numerici si rischia il sovraffolamento. Già ora l'integrazione è difficile, culture molto diverse si scontrano provocando incertezza e in diversi casi paura. Quindi accoglierne qualcuno così, non risolve la situazione, molti paesi continuano a essere poveri e molte persone  a morir di fame. L'accoglienza risulta un pagliativo, una soluzione parziale e per alcuni una falsa speranza.


Mi viene in mente la storia di un vecchio saggio cinese che diceva: "Se dai a un uomo un pesce mangerà per un giorno. Se gli insegni a pescare mangerà tutta la vita."  Penso che sia necessario fare qualcosa per migliorare le condizioni di vita nei paesi poveri. Stanziare fondi e controllare che vengano spesi per favorire una crescita dell'economia locale e delle condizioni di vita. Servono progetti e idee, soldi e  soprattutto tempo. Però sarebbe bello, favorire la possibilità di scegliere e di non essere obbligati a fare qualcosa.


Domenica scorsa ho visto su Turisti per caso, c'era un filmato sull'Etiopia, un organizzazione internazionale di volontariato stava portando avanti un progetto. Si era creata una cooperativa gestita da persone del posto a cui venivano insegnate le varie fasi della lavorazione del latte e forniti gli strumenti necessari. Si dava la possibilità a chi partecipa a questa coperativa di imparare un mestiere e di mantenersi con il proprio lavoro. Mi è sembrato un bel progetto. Certo una goccia nel mare, ma una goccia nel mare che può portare frutto.

martedì 22 agosto 2006

Si lavora per vivere

Papa Benedetto XVI, domenica scorsa, ha detto che non si deve lavorare troppo perchè l'eccesso di attività conduce alla  «durezza del cuore». Questa affermazione ha alimentato un dibattito. Molti ritengono che lavorare è una necessità, non una scelta. Da un sondaggio europeo emerge che molti cittadini dell'unione vorrebbero poter lavorare più ore, non dover subire limiti all'orario di lavoro.


Questa discussione mi ha fatto venire in mente una frase Si lavora per vivere, non si vive per lavorare. Non ricordo in che occasione l'ho sentita ma mi sembra che ci sia del vero. Non è un inno all'inattività o alla pigrizia. Lavorare è importante, fondamentale dal punto di vista economico e sociale per mantenere se stessi e la propria famiglia. Consente di sentirsi realizzarsi, acquisire dignita, sicurezza, indipendenza. Il lavoro è parte della vita, non il tutto. Se una persona decide di mettere la carriera al primo posto escludendo il resto, non trova lavoro o non ne trova uno che le consente di fare progetti, avere dei punti fermi e deve fare i salti mortali per mettere insieme il pranzo e la cena il lavoro non è più parte della vita, diventa  il tutto. Un tutto che impoverisce. Quando lavorare diventa il fine ultimo, per scelta o per necessità, si rischia di perdere in serenità, in qualità della vita.

lunedì 21 agosto 2006

Caprette e Caproni, scoperte e assurdità

Ho letto la notizia su  la Stampa di Sabato 19 agosto.


Tre capre nane rischiano di essere uccise. Sono finite nei meandri della burocrazia e ora non riescono a uscirne. Stavano in un terreno, davanti a un capannone, apparentemente abbandonate. Il maschio legato per le corna con una corda a una staccionata. Chi le vede segnala a un'associazione animalista quanto sta accadendo. Parte la denuncia, le caprette  sono sequestrate dall'autorità giudiziaria. Inizia il processo, maltrattamento e abbandono degli animali Si scopre che un proprietario c'è. Va a accudirle quasi ogni giorno. Il maschio è legato per non farlo scappare e ferire le femmine. Si scopre che legarlo per le corna e non per il collo evita che si strozzi. Le scoperte non finiscono qui. Un testimone sostiene di aver portato una scateletta di cibo per cani per sfamare le povere caprette. L'imputato sostiene che le capre sono erbivore  gli viene risposto che è da accertare. Il processo si conclude, l'imputato è assolto, le capre non erano deperite o malnutrite. Si è conosciuto un pò meglio il mondo caprino. Lieto fine? No. Le capre sono "oggetti" "in sequestro  per cui  viene applicata l'immediata confisca e distruzione" stando all'ultimo capoverso della sentenza. Dove è adesso chi voleva proteggerle? Ucciderle non  vuol dire maltrattarle? Non riesco a comprendere questa decisione.

domenica 20 agosto 2006

La ragazza con l'orecchino di perla

Uno strano gioco di seduzione coinvolge Griet, una serva e il suo padrone, il celebre pittore Johannes Vermeer. Si instaurà tra loro comprensione, curiosità e attrazione giocata solo sul filo degli sguardi. Dialogo tra due anime distanti per condizione sociale e cultura. Un menecenate invaghito di Griet  commissiona a Vermeer un suo ritratto. Così prende avvio il quadro "La ragazza dall'orecchino di perla" (meglio conosciuto come la ragazza con il turbante). Le pose sono fatte lasciando all'oscuro la moglie del pittore gelosa di quello strano rapporto. Griet nasconde i capelli dentro un pezzo di stoffa,  lato privato, immune dallo sguardo di Vermeer e dalla curiosità di chi nei secoli ha visto il quadro.02992433_1 Il pittore è concetrato, ogni gesto compiuto lo porta più vicino alla sua opera, quasi una missione. Lui pensa all'orecchino di perla della moglie per attrarre il punto luce. Sua figlia, testimone ostile e silenziosa di quanto avviene in casa tradisce il segreto. Si giunge allo scontro. Il film fa rivivere un epoca più dei personaggi che rimangono distanti, a tratti incomprensibili. Il lato bello sono i costumi, gli ambienti scelti per ricostruire la Delf del 1665. Finisce il film e lo spettatore ha l'impressione di aver posato lo sguardo per un momento sull'Olanda seicentesca che appare nei quadri del pittore, di cui si riprendono i colori.


Griet come fonte di ispirazione per il celebre quadro, è un'idea sviluppata da Tracy Cavalier che ha scritto un best-seller dal titolo omonimo. La figura di Vermeer è avvolta nel mistero. Poco si conosce della sua vita e della sua formazione artistica



Ragazza con il turbante

Tibet

Tibet_flag_1




La bandiera del Tibet racchiude in se la storia di quel paese, della sua fede, della sua visione della vita. Il  Guizzo in questo bel post:


http://ilguizzo.blog.lastampa.it/il_mio_weblog/2006/08/tibet.html  spiega il significato della bandiera e  come è la situazione in Tibet dopo l'occupazione cinese. Ho letto dell'iniziativa, lanciata da Filippo, sul blog di Spank. E' una storia , tragica che è giusto conoscere.Spero, si trovi il modo di intervenire per fermare questa continua violenza.

sabato 12 agosto 2006

Il volto "normale" del terrorismo

E' stato sventato un attentato terroristico a Londra. Hanno arrestato 24 persone, anche  2 donne, una incinta. Si stanno svolgendo le indagini. Una persona è stata rilasciata, le altre fino a mercoledì rimangono in stato di fermo, sottoposti a interrogatorio. Sono sospetti terroristi. Bravi ragazzi, a detta di molte delle persone che li conoscevano. Lavoratori che si erano integrati, giocavano a calcio, a criquet. Un ragazzo adora fish and chips, tifa per il Liverpool. L’inglese che si è convertito, da appena 6 mesi all'islam, dopo il matrimonio con una ragazza musulmana, è descritto come "un ragazzo d'oro", "aiutava i bambini ad attraversare la strada". Insomma un gruppo di brave persone, bravi musulmani che stavano, stando alle indagini, progettando un attentato di proporzioni enormi. Angosciante. Il vicino di casa, il viso conosciuto che nasconde tremendi progetti. Fa sentire impotenti, diffidenti verso chiunque, insicuri,  pensare che il terrorista abita a pochi passi da te, sia quel ragazzo gentile che si è salutato tante volte. Ci si chiede perché. Perchè una vita parallela volta al creare morte, e paura, distruggere quei valori e quelle sicurezze che sono alla base della società occidentale. Il terrore, continuo, certe volte si riesce a metterlo in secondo piano ma  l'incertezza, la paura sono sentimenti difficili da  abbandonare dopo l'11 settembre. Numero banale che è diventato una data simbolo, sinistra come tutte le ricorrenze tragiche che si spera non si ripetano.


I viaggi continuano, anche verso mete a "rischio" come Stati Uniti, Gran Bretagna e Israele. Bisogna arrivare in aeroporto almeno 3 ore prima. Non si portano  bagagli a mano. Ai viaggiatori viene dato un sacchetto di plastica, kit che li rende facilmente  riconoscibili. Sono permessi i medicinali strettamente necessari durante il viaggio, gli occhiali, non la custodia, nessun liquido. In caso di bimbi a bordo il biberon deve essere assaggiato dall'accompagnatore. Il timore di esplosivi liquidi ha reso ancor più restrittive le misure di sicurezza. I viaggiatori si sottopongono a questi controlli sperando che siano sufficienti. Sperano che il viaggio che si apprestano a fare sia solo l'inizio di una vacanza, una tranquilla e serena vacanza. Nulla di più.

giovedì 10 agosto 2006

Il dolore non riconosce i confini

Ho letto il post che ha scritto Dragor oggi:


http://dragor.blog.lastampa.it/journal_intime/2006/08/non_avete_notat_3.html#comments


come spesso accade con i suoi post, mi ha fatto riflettere, emergere degli interrogativi. "Il peso dei morti". Mi è tornata in mente una legge la cosiddetta " legge di McLurg", l'avevo studiata preparando l'esame di sociologia della comunicazione. Stabilisce che:


"una scala graduata della relativa notiziabilità per i disastri: un europeo equivale a 28 cinesi o 2 minatori gallesi equivalgono a 100 pakistani. Questa «legge» è proposta di solito in un contesto di situazione scherzosa ma, come rilevava un giornalista, «è un gioco che è rilevante. E' dettato da fatti» (Shlesinger 1978, p. 117; cit. in Wolf 1985, p.204).


E' un criterio crudo che trova però dei riscontri nella realtà. Ci sono una serie di criteri che rientrano nei processi negoziali attraverso i quali si fa di un evento una notizia. Al di là di questo aspetto, in questi giorni ci sono più verità che si scontrano. E' difficile trovare dei punti fermi. Non tutte le notizie sono vere senza omissioni, vere in ogni loro aspetto, ne viene fuori un'immagine distorta, risuona una frase nelle mie orecchie Così è se vi pare


Io non voglio piegarmi a una classifica. Se c'è una cosa che rende simili israeliani e libanesi sono il dolore e la paura.Bimbo_1  Dolore e paura che meritano rispetto. Sono qui in Italia, conosco la guerra, fortunatamente,  solo tramite le pagine di un giornale, i servizi alla Tv. Non credo che le ragioni e i torti stiano da una parte sola. Sto cercando di capire quello che succede, se c'è uno spiraglio per la pace. Sento frasi come "Se tu colpisci quella zona, io allora colpirò quella città", "Si potrei anche concederlo ma non voglio che sembri che ha vinto lui", "Prima o poi si deve morire". Le sento e penso di ascoltare il litigio tra due monelli un pò egoisti. Poi con un misto di sgomento e apprensione mi rendo conto che a parlare sono adulti, persone che hanno il potere di decidere sulla vita di milioni di loro simili. Non so, onestamente, non so dire come si possa oggi arrivare alla pace.  Però credo sia necessario ricercarla, nominarla, far sentire che esiste, che è possibile a persone per cui la vita è stata una guerra, interrotta da tregue sempre troppo brevi. Sono solo idee, idee nelle quali credo, anche se a volte mi sembrano inutili utopie. Pace La pace si costruisce, con fatica come il più fragile dei fiori. Si costruisce in due, una fragile casa, dove ogni mattone deve essere posato con amore, con cura.


Vincere la guerra non  vuol dire avere la pace. Penso sia  necessario provare a mettersi nei panni dell’altro, capirne le posizioni. Cercare dei punti di incontro, basi sulle quali costruire un futuro. Perché se il passato è già scritto il futuro si può cambiare. 


mercoledì 9 agosto 2006

Cieli venati di pioggia,


inquieti silenzi.


Sguardi furtivi seguivano l’onda.


Passi, corse represse in un muto discorso.


Chiedevi risposta.


Fuggivano gli occhi


inseguendo sbiaditi ricordi.


E tu non  eri più lì,


uomo senza pace,


perduto in un tempo lontano


che oggi non trovi più.



Images

sabato 5 agosto 2006

Hiroscima 6 agosto 1945

http://it.wikipedia.org/wiki/Bombardamento_atomico_di_Hiroshima_e_Nagasaki


L'aereo  che trasportava la bomba sganciata sopra Hiroshima si chiamava Enola Gay. Innocente nome di  madre, coniato dal pilota Paul Tibbets. Alle 8:15 del mattino "Little boy" venne sganciata, 43 secondi dopo Hiroshima smise di esistere. Il "fungo atomico" si ergeva sulla in città, segno dell'ondata distruttiva che aveva segnato quella zona, visibile anche ore dopo la terribile esplosione. Si stimano tra le  70 e 80.000 persone uccise all'istante, il 90% degli edifici crollati. Il numero totale delle vittime fu 242.437, considerando le persone che morirono successivamente a causa dell'esposizione alle radiazioni nucleari. Per ore Il resto del Giappone non si rese conto  della gravità di quanto era accaduto, si tendeva a non comprendere a livello militare la reale gravità della situazione. Le prime informazioni ufficiali furono date 16 ore dopo il lancio, quando il presidente americano Truman annunciò al mondo il lancio della bomba atomica su Hiroshima. Il Giappone non si arrese. Il 9 agosto vi fu il secondo lancio, preparato, come il primo, nei minimi dettagli. Le cattive condizioni atmosferiche rispariarono Kokura e spinsero l'equipaggio americano a spostarsi sul secondo obiettivo Nagasaky. La bomba venne sganciata alle 11.02. Un parziale errore del pilota fece si che le vittime immeditiate fossero "solo" 40.000, si stima 80.000 comprendendo anche quelle morte in epoca successiva. Il 1 settembre 1945 il Giappone si arrendeva e finiva le 2°Guerra Mondiale. Si disse che il lancio delle bombe permise una resa più veloce dell'Impero giapponese. Risparmiò la vita a molti soldati americani e civili prigionieri del Giappone.  Si parlò di piani giapponesi da realizzare nel settembre 1945. Riguardavano il lancio in America di aerei kamikaze piene di pulci portatori della peste. Einsein si pose contro il lancio delle bombe atomiche, il gesto fu condannato moralmente da diverse associazioni. Molti pensavano che il Giappone si sarebbe arreso anche senza il lancio delle bombe e che stesse solo cercando un modo onorevole per firmare la resa.


C'è chi disse che quelle bombe fossero la naturale risposta a un paese, il Giappone, che aveva praticato la guerra totale, non distinguendo civili e militari, negli obiettivi da colpire. Mi fa orrore pensare questo. Mi fa orrore pensare a un paese che vuole essere  paladino della democrazia e si piega a questo ragionamento. Spero che fossero altre le ragioni che spinsero gli Stati Uniti a lanciare le bombe in Giappone, ragioni non legate alla vendetta ma al tentativo di fare il bene comune. Le bombe atomiche ebbero una portata distruttiva inimmaginabile che non si concluse in quei giorni. I tragici effetti delle radiazioni furono subite per anni dagli abitanti di quelle zone.


Oggi a 61 anni di distanza quanto accaduto rimane un peso che l'umanità intera deve condividere, un monito riguardo quanto sia pericolosa e letale una guerra atomica. Guerra che non darebbe a nessuno la possibilità di sventolare il vessillo del vincitore. Non si devono più vivere giornate come quelle. Molte persone il cui sangue era stato contaminato dalle radiazioni morì dopo anni tra atroci sofferenze. La bomba atomica inseguita da Germania e Stati Uniti nella seconda guerra mondiale è uno sbaglio che nessuno può permettersi di dimenticare, un'arma sporca e infida che non lascia spazio alla speranza e alla vita.

venerdì 4 agosto 2006

Un tuffo...

Maria_marconi Si prendono 9 giudici di 9 diverse nazionalità. Li si pone davanti a una gara di tuffi sincronizzati. 2 valutano 1° atleta. 2 il 2° atleta. 5 giudici valutano il sincronismo. Si tolgono il voto più basso e il  più alto dati agli atleti e alla sincronia dei movimenti. Si sommano i voti che rimangono. Si calcolano i 3/5 della somma ottenuta. Si moltiplica il risultato per il coefficente di difficoltà.


Il risultato ottenuto dovrebbe essere la quinta essenza dell'obiettività. In realtà non è così anche in questo sport i dubbi su certi voti restano. Avere un nome e la costanza nei tuffi paga, spesso più del necessario. Rimane il fascino di uno sport bello. Due atleti, nel sincro, lo sguardo perso nel vuoto, concentrati nel calibrare i movimenti. E' il momento di partire, il trampolino inizia a ondeggiare. 1..2..3  1..2 e anche le braccia sono sincronizzate.0j3f4kqa280x190_1 I corpi volteggiano in aria. Una serie di movimenti, tanti sono compiuti in pochi, lunghissimi secondi. Tuffi carpiati, avvitamenti, doppi, tripli. Gli atleti capovolti in avanti, indietro. L'acqua si avvicina. Il contatto, si spera privo o quasi si schizzi così da garantire un punteggio più alto. L'errore che li segue a ogni tuffo pronto07 a far loro lo sgambetto. Anche se il tuffo più complicato è stato superato in scioltezza, anche se si è vicini a toccare una medaglia. Quando l'errore ha la meglio si paga un prezzo pesante in termine di punti e di morale. Sta all'atleta superare il momento difficile, ritrovare la concentrazione e ripetere quei tuffi che per un comune mortale sono una magia. Un pubblico colorato, disposto in platea segue questi incantatori capaci di catturarne l'attenzione, scatenare le loro emozioni. Quando il tuffo riesce veloce il giusto, preciso, non abbondante, non scarso insomma perfetto tanto da non sembrare reale, tanto da rimanere nel cuore di chi lo ha fatto e di chi lo ha potuto vedere la gioia è di tutti. Anche se piove e il cielo è grigio, quasi una costante in questi europei disputati in Ungheria ma non è questo che importa, negli occhi si conservano altre immagini, altre storie. I tuffi... umana magia.

giovedì 3 agosto 2006

La riforma della maturità. Un premio eticamente sbagliato

La solita formula.


Sapere da 100 e prendere 100 non sono sinonimi


II ministro Fiorani sta elaborando una riforma per l'esame di maturità. Vi sono cambiamenti che appaiono utili come la commissione mista di esaminatori esterni e interni. Toglie ai professori interni il  compito, esaminando gli studenti, di dare implicitamente anche un giudizio sul proprio lavoro, svolto durante l'anno, cosa che rende difficile il mantenere una giusta dose di obiettività.


Un cambiamento che non comprendo è l'dea di distribuire, denaro pubblico,  5.000.000 di euro  agli studenti che otterrano la votazione 100 agli esami di maturità. A che scopo? Si parla nel Ddl di «valorizzare le eccellenze». Eccellenze che sembrano in aumento stando ai dati del ministero, in base ai quali si stima in oltre il 10% gli studenti che hanno conquistato il voto massimo alla maturità. Più realisticamente è lecito pensare che se i 100 sono in aumento, gli studenti che sanno da 100 sono stabili se non in diminuzione. Sembra esserci un progressivo svuotamento del valore del diploma e delle conoscenze che questo pressuppone. L'idea di distribuire così i soldi non sembra vincente anche perchè in base a questi numeri ogni studente riceverebbe pochi euro. Ma si pongono anche altre questioni. Si è parlato di usarli come borse di studio. Ma venendo dati in maniera indistinta alle persone più e meno agiate rischiano di non essere utili a nessuno. Se questo è lo scopo converrebbe potenziare le borse di studio, che già esistono, per gli studenti meritevoli . Un'altra opzione è l'idea di attribuire crediti per l'università. Non mi convince, un buon voto alla maturità è un buon biglietto da visita ma non può essere contabilizzato in termini di crediti. Un 100 vale un esame all'università? Non credo, non serve a sveltire i tempi ne ad aumentare le conoscenze.


Quindi in definitiva, pochi euro non cambiano la vita facendo studiare chi non ne ha voglia. Non aiutano a mantenersi agli studi, sono un premio eticamente sbagliato. A 19 anni si è in grado di capire che se si studia lo si fà per il proprio bene. Pur se si fatica a trovar lavoro, lo studio aiuta a ampliare gli orizzonti e crescere, questo nessuno può portarlo via a chi studia.


Mi sembra più opportuno dare la possibilità agli studenti volenterosi di sapere da 100, Investire in formazione, strutture, tecnologia informatica. Una scelta che richiede, tempo, organizzazione, studio dei problemi. Appare, secondo me, un idea meno campata in aria rispetto a quella inserita nella riforma: pochi soldi a molti senza che siano utili a nessuno. Non basta distribuire i soldi, bisogna essere in grado di usarli in maniera efficace.

mercoledì 2 agosto 2006

La regina della casa

2005090615564088 Samantha Sweeting ha da poco compiuto 29 anni. Il suo obiettivo è diventare socia del prestigioso studio legale, dove lavora da 7 anni. La sua vita è stata organizzata in funzione di questa promozione. Scrivere contratti, controllarli, parlare con i clienti, tutto è misurato in segmenti di 6 minuti, anche la sua vita privata. Un giorno, quando l'avanzamento di carriera sembra cosa fatta, si accorge di aver commesso un errore, un errore da principiante. Non ha trascritto nei termini un contratto. Il suo cliente rischia di perdere 50 milioni di sterline. Samantha entra in crisi, sotto shock decide di abbandonare l'ufficio. Prende un treno e scende a una stazione che non conosce. Vaga nella campagna inglese non sapendo cosa fare, ha un forte mal di testa. Bussa a una villa per chiedere dove si trova. I padroni di casa, una coppia svagata dal buon cuore crede di trovarsi di fronte un'aspirante governante. La sottopongono a un colloquio, lei quando si accorge del malinteso  vorrebbe spiegare quale è la situazione ma poi il suo spirito competitivo ha la meglio. Elenca una serie di referenze fasulle, millanta corsi mai intrapresi e riesce a ottenere il posto. Soprattutto ora può riposare. E' un pò intontita a causa degli antidolorifici che le hanno dato per alleviarle l'emicrania. Al risveglio  si rende conto di cosa ha fatto. Governante lei che non sa attaccare un bottone, usare una lavatrice o anche solo accendere un forno a micronde. Qui iniziano i problemi e  le risate dei lettori nel leggere le peripezie di Samantha nel gestire una casa. Il giardiniere le dimostra da subito simpatia, l'aiuta presentandole la madre che le insegna a cucinare e sbrigare le faccende domestiche. Samantha inizia a divertirsi in questa nuova vita nella quale ha degli amici, persone che le vogliono bene, tempo libero, un miraggio quando era avvocato. Un giorno il passato torna a essere protagonista imponendole delle scelte. I suoi colleghi avvocati pensato sia impazzita quando dice di essere una governante, non comprendono il suo nuovo stile di vita più modesto. Cosa farà Samantha? Tornerà alla vecchia vita, fatta di soldi e successo? o rimarra fedele ai valori scoperti da poco ?


Per saperlo si può leggere il libro di Sophie Kinsella. Spumeggiante e divertente nella prima parte, cala un pò alla distanza. Rimane una piacevole lettura che invita seppur indirettamente a chiedersi cosa sono le cose importanti nella vita. Non esistono risposte del tutto giueste o sbagliate. L'importante è guardare dentro di sè per fare chiarezza. Farlo almeno ogni tanto può risultare determinante per non trovarsi a inseguire i sogni di qualcun altro.