mercoledì 22 aprile 2009

Juventus - Lazio 1-2

Complimenti alla Lazio

Basta con la tiritera del carattere. Non ho voglia di essere gentile, comprensiva o paziente. Stasera ho provato l'ebrezza di essere presa in giro e non so più cosa pensare.
Quando la Juventus è scesa in campo le serviva un goal per agguantare la finale.  Merce rara ed appetibile, di questi tempi, in casa bianconera. Mancavano Chiellini  e Legrottaglie. Del Piero, Nedved e Camoranesi sedevano in panchina. La squadra  bianconera ha vivacchiato fino alla prodezza del laziale Zarate. A quel punto servivavo 2 goal per pareggiare il conto, parliamo della Juve che giocava in casa, mancavano 52 minuti alla fine più recupero. Fattibile. Almeno tentabile.
Nel secondo tempo entrano Camoranesi e Nedved, la squadra tenta qualcosa, al 7' minuto Kolarov segna fortunosamente il secondo goal. Servono 4 reti ai bianconeri per giungere in finale e serve un altro spirito, altra condizione, un altra squadra  per coltivare la speranza di valicare la porta biancoceleste 4 volte in 38 minuti.
I giocatori vestiti con la maglia bianconera iniziano a giocare, ricordano forse la maglia che indossano, tirano fuori il carattere, costruiscono occasioni, prendono pali, si confrontano con il forte portiere biancoceleste. Entra Del Piero e fa un bel goal . Si combatte,  Nedved  e Del Piero provano a suonare la riscossa, ne esce un suono strozzato e amaro.  Il trascorrere dei minuti condanna la Juve, l'espulsione di Camoranesi è l'ultimo sbaglio di una serata da dimenticare. Il film con trama e esito simile  era già stato trasmesso con Chievo, Genova e Inter.  Trattasi di pizza piuttosto indigesta ammantata di buone, inutili, intenzioni.

Esprimo ammirazione per Nedved ( sperando che non appenda le scarpette  al chiodo) e Del Piero, fiducia nelle giovani leve.

La dirigenza che si rifugia nei sogni mi sembra stia dando dei pessimi segnali. Cannovaro non serve. Un ritorno di Lippi può suonar bene solo in una barzelletta. Se vogliamo sognare facciamolo in grande, pensiamo a: Conte,  Deshamps, Vialli o Platini, Cabrini, Tardelli, spingiamoci  più indietro  e sogniamo Sivori, Boniperti , Charles.
Con questa dirigenza solo nel passato possiamo ritrovare il sorriso.

domenica 19 aprile 2009

Le banderuole non son bandiere

Capisco la necessità di un raccattapalle ma dobbiamo andare fino in Spagna per cercarlo?
Fabio la banderuola ha seguito il vento ed ora a trentasei anni suonati non può essere considerato un uomo necessario alla Juventus. Non è bandiera nè parte del cuore, riesce facile dire: che vuole?

Neanchè il tempo di tirare mezzo sospiro di sollievo, per il match riagguantato con l'Inter, e  già tocca ascolare queste notizie. Ho guardato il calendario  ma il primo aprile è passato, quindi   presumo che il piano sia reale, degno del teatro dell'assurdo. Il ritorno di Cannavaro si muove al pari con un rientro di Lippi. Faccio scendere il sipario su questi folli progetti  sperando che le scelte di mercato si muovano su basi serie con gli occhi al futuro e al bene della squadra.

venerdì 17 aprile 2009

Racconto di un naufrago

 L'impressione è quella di essere catturati fin dalle prime righe. Il marinaio Louis Alejandro Velasco Image_book.php racconta al giovane cronista Gabriel Garcìa Marquez la sua esperienza di naufrago e poi eroe, acclamato, in una Colombia retta da un governo dittatoriale. Siamo negli anni '50,  Louis sta tornando a casa su un caccia-torpediniere  colombiano, dopo mesi trascorsi negli Stati Uniti. L'imbarcazione è carica di casse clandestine, elettrodomestici, regali per i parenti rimasti in patria. Il viaggio si avvia alla conclusione quando il mare si fa burrascoso, nessuna tempesta ma un'onda più grande getta in acqua otto marinai.  Il caccia-torpediniere prosegue, apparentemente incurante, verso la sua destinazione. Per Louis Alejandro Velasco inizia una strenua lotta per sopravvivere. Dieci giorni raccontati in maniera lucida, precisa,  dando l'impressione al lettore di poter essere con lui sulla zattera, condividerne i pensieri, le decisioni che  il marinaio si trova a prendere per poter coltivare la speranza.
E' il racconto avvincente di un uomo normale che deve la sua fama al fatto di  essere sopravvissuto per 10 giorni senza cibo e acqua, sballottato nell'oceano, capace di far fruttare le poche cose che aveva a disposizione, gli insegnamenti ricevuti,  risorse inaspettate  emerse nel  momento del bisogno e poi il caso o il destino che guida il cammino di ogni persona.
La dittatura, la denuncia di verità scomode, giornali d'opposizione che faticano a mettere insieme notizie innocue per poter proseguire con la pubblicazione e superare la censura.  Molte cose in poco spazio.
Riflessioni, la sensazione di un viaggio che ancora mi accompagna, ve lo consiglio!

Racconto di un naufrago
Gabriel Garcìa Marquez
Mondadori

domenica 12 aprile 2009

Chiudi la porta

Mi volto,
accompagno la maniglia con la mano. Clic.


Mario è seduto
sulla sedia. Vive lì da cinque giorni. Quando non ne può più, per distrarsi, va
verso la finestra. Si affaccia e  guarda
il via vai dell’ingresso, i portantini che escono per una sigaretta e diventano
lucciole, sperdute nella notte, l’albero del giardino che si muove come  un ballerino gitano. Me l’ha raccontato ieri,
quando le cose già andavano meglio, e sono riuscita a trascinarlo fino al bar
dell’ospedale perché tanto c’erano i medici per la visita e dentro non si
poteva stare. L’ha detto in quel suo modo buffo che non gli riusciva da un po’.

Sara è  distesa. Respira da sola, sono diminuiti i
macchinari intorno a lei. Neanche più un bip. Ho l’impressione di non ricordare
più la sua voce.  Stanotte l’ho sognata.


*****

Ride, siamo insieme,
attraversiamo la strada, un’auto la investe, la fa volare. Non lo so quanto
lontano. Ricordo il rumore del corpo di lei e dell’asfalto che tornano a
toccarsi. Le urla della gente, l’automobilista che scende e scuote la testa, io
che sono rimasta due passi indietro perché il cellulare aveva iniziato a
squillare e mi ero messa a cercarlo nella borsa. Me lo trovo in mano, comporre
il numero dell’ambulanza è un gesto automatico, così come spiegare dove ci
troviamo. “ Tra il Lacoste e il Benetton, via della Spiga – mi volto –
al numero 10, fate presto”. Clic. La comunicazione si chiude, mi avvicino, lei
è distesa, un rivolo di sangue le scende dalla fronte.


Sara arriva, in
ospedale, in stato di incoscienza. Le fanno esami su esami poi la sistemano in
una camera singola, attaccata al respiratore, con la flebo e i monitor.  “Può entrare solo una persona”  dice l’infermiera. Mario va dentro, lui è il
più forte, può esserle d’aiuto, capirla meglio. La prima notte l’ho passata
sulla panca di metallo nel corridoio. E così le notti seguenti. Sonno mal
consumato, preghiere e ricordi, lacrime non ne sono venute.

*****


I dottori dicono che si sveglierà, è questione di ore. L’operazione è
andata bene. Sara è giovane, sana, neanche una cicatrice. Io e Mario ci
culliamo nel suo respiro.