domenica 12 aprile 2009

Chiudi la porta

Mi volto,
accompagno la maniglia con la mano. Clic.


Mario è seduto
sulla sedia. Vive lì da cinque giorni. Quando non ne può più, per distrarsi, va
verso la finestra. Si affaccia e  guarda
il via vai dell’ingresso, i portantini che escono per una sigaretta e diventano
lucciole, sperdute nella notte, l’albero del giardino che si muove come  un ballerino gitano. Me l’ha raccontato ieri,
quando le cose già andavano meglio, e sono riuscita a trascinarlo fino al bar
dell’ospedale perché tanto c’erano i medici per la visita e dentro non si
poteva stare. L’ha detto in quel suo modo buffo che non gli riusciva da un po’.

Sara è  distesa. Respira da sola, sono diminuiti i
macchinari intorno a lei. Neanche più un bip. Ho l’impressione di non ricordare
più la sua voce.  Stanotte l’ho sognata.


*****

Ride, siamo insieme,
attraversiamo la strada, un’auto la investe, la fa volare. Non lo so quanto
lontano. Ricordo il rumore del corpo di lei e dell’asfalto che tornano a
toccarsi. Le urla della gente, l’automobilista che scende e scuote la testa, io
che sono rimasta due passi indietro perché il cellulare aveva iniziato a
squillare e mi ero messa a cercarlo nella borsa. Me lo trovo in mano, comporre
il numero dell’ambulanza è un gesto automatico, così come spiegare dove ci
troviamo. “ Tra il Lacoste e il Benetton, via della Spiga – mi volto –
al numero 10, fate presto”. Clic. La comunicazione si chiude, mi avvicino, lei
è distesa, un rivolo di sangue le scende dalla fronte.


Sara arriva, in
ospedale, in stato di incoscienza. Le fanno esami su esami poi la sistemano in
una camera singola, attaccata al respiratore, con la flebo e i monitor.  “Può entrare solo una persona”  dice l’infermiera. Mario va dentro, lui è il
più forte, può esserle d’aiuto, capirla meglio. La prima notte l’ho passata
sulla panca di metallo nel corridoio. E così le notti seguenti. Sonno mal
consumato, preghiere e ricordi, lacrime non ne sono venute.

*****


I dottori dicono che si sveglierà, è questione di ore. L’operazione è
andata bene. Sara è giovane, sana, neanche una cicatrice. Io e Mario ci
culliamo nel suo respiro.


 

2 commenti:

  1. C'è un rumore terribile che ho udito e non dimentico: quello di un corpo che, sbalzato in aria, ricade sull'asfalto. A contatto con il terreno il cranio emette un colpo secco, come di noce schiacciata.
    Il resto è questione di fortuna. Anche aver schivato l'urto grazie allo squillo improvviso del cellulare...

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  2. Ciao Pim,
    mette i brividi quanto descrivi, hai ragione è terribile.
    La fortuna conta molto in quasi tutti gli aspetti della vita anche quando si rivela come lo squillo di un cellulare.
    Pinky

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