domenica 13 giugno 2010

Il segreto della mia felicità

INCIPIT
Finito di leggere, rimasi in silenzio per un po’. Lui non parlava  e così,  dopo essermi schiarito la voce, gli chiesi d’un fiato:
-    Come le sembra?

Don Pedro guardava davanti a sé. Sembrava profondamente concentrato, quasi assente.  Pensai che  stesse cercando le parole giuste per non ferirmi. Era un uomo diretto. Quando aveva qualcosa da dire,  lo diceva in faccia senza troppi preamboli. Forse lo frenava l’argomento.  Mi ero reso conto che l’amore lo costringeva al rispetto, ad un cauto timore, sorprendenti in un uomo della sua età ed esperienza.   Era arrivato a Roma da meno di un mese, spinto dal desiderio di approfondire le ricerche riguardo un letterato spagnolo del XVI secolo, tal Joaquìn Escrivantes, che aveva avuto la sventurata idea di trascorrere buona parte della sua  esistenza in Italia e di scrivere, in terra straniera, la sua opera più famosa ed acclamata.
Un professore dell’università l’aveva messo in contatto con me. Ci eravamo incontrati in un ristorantino di Trastevere dove mi aveva fatto la proposta:
-    Figliolo, mi serve un assistente che conosca la città e tu mi sembri un ragazzo sveglio. Non intendo fermarmi più di un mese quindi, se accetti, dovremo procedere a ritmo sostenuto.
Mi fissava, in attesa di una risposta che probabilmente già conosceva, decisi quindi di non tenerlo sulla corda.
-    Sì, Maestro.  Ne sarò onorato.
Avevamo siglato l’accordo con una stretta di mano e bagnato le labbra con un frizzante vino dei castelli.
Don Pedro era spagnolo fino al midollo, affermava  con una certa dose di sicumera   che ogni viaggio compiuto all’estero serviva a  fargli trovare nuovi motivi per amare il suo paese. Era un tipo ironico, un abile narratore e lavorare  per lui era stata la mia  migliore occasione dopo mesi di oblio.
Lo trattavo con la deferenza e il rispetto che i suoi titoli accademici  richiedevamo tuttavia, con il trascorrere dei giorni, vissuti a stretto contatto, iniziai ad aprirmi con lui su fatti che rientravano in una sfera piuttosto privata. Don Pedro mi trattava con condiscendenza, sembrava divertito e al contempo onorato dalla fiducia che gli riservavo, per questo mi ascoltava con interesse offrendomi anche qualche buon consiglio.
Gli avevo parlato di Chiara, di come c’eravamo incontrati in una libreria dove avevamo posato gli occhi sullo stesso libro. Ci frequentavamo,  scambiavamo opinioni su libri e film, lanciandoci frecciatine reciproche e provando a prevalere l’uno sull’altra, protagonisti di vivaci schermaglie.  Poi c’erano state le serate al cinema  e a teatro, una certa ritrosia da parte sua  che non sapevo se imputare alla timidezza o all’indifferenza alternata a momenti affettuosi e quasi intimi.  Mi ero innamorato di lei, come uno scolaretto alla prima cotta, ero tentato di incidere le nostre iniziali dappertutto, pensavo a quanti figli avremmo avuto, alla casa in cui saremmo andati ad abitare e mi davo dello sciocco un giorno sì e l’altro pure. Ero giunto alla conclusione che dovevo dichiararmi “E poi vada come vada” mi ero detto, in un raro momento di coraggio.
 Avevo trascorso due notti  in bianco, riempiendo fogli che regolarmente appallottolavo  ed infilavo nel cestino. Si erano salvate solo quelle poche righe. Ne ero geloso e insieme disgustato, mi sembravano finte, esagerate, quasi un invito alla fuga. 

Quella mattina mi ero alzato di malavoglia ed ero andato all'appuntamento con Don Pedro. Avevamo trascorso ore spulciando documenti in un polveroso archivio. Il ritrovamento di un paio di notizie utili a chiarire  i trascorsi dell’illustre letterato spagnolo, ci aveva rinfrancato. Don Pedro era di buonumore  ed io mi ero deciso  a   sottoporgli le righe che  avevo scritto per Chiara, sperando di venirne a capo, in qualche modo.

Don Pedro parlò:
-    Potresti avvicinarti a lei,  sussurrarle all’orecchio, con voce suadente:  Te quiero
-    Chiara è italiana.
-    Lo spagnolo è universale.
-    Si, ma anch’io sono italiano e almeno alla lingua vorrei rimanere fedele – accompagnai l’affermazione con un sorriso divertito.

Don Pedro alzò gli occhi al cielo, sembrava dire Non insisto però…
-    Da uno a dieci quanto tieni a questa chica ?
-    Undici – risposi convinto.
-    Bueno - disse in tono serio - ti consiglio di non usare la dichiarazione che mi hai letto.

Il  maestro  prese una penna e scrisse, rapido, qualcosa su un foglio. Dopo averlo piegato, lo allungò sul tavolo, dicendomi  - Leggi.

Lo presi in mano con timore, avevo quasi la sensazione di toccare una reliquia. Lo aprii, Iniziai a leggere e rimasi di sasso. Erano quelle le parole che cercavo da quando avevo conosciuto Chiara, le uniche che avrebbero potuto farmi toccare il suo cuore.  Rimasi incantato con il foglio aperto tra le mani. Alzai gli occhi e vidi  Don Pedro  che mi fissava preoccupato. Disse:
-    Paolo, amico mio, con l’amore non si scherza e non si imbroglia. Ora prendi quel foglio e strappalo.

Lo guardai incerto, speravo scherzasse, mi sembrava una crudeltà.
-    Strappalo. Dammi retta. Quando incontrerai Chiara troverai le parole giuste. Devi solo avere fiducia in te.
Feci come mi aveva detto. Piegai il foglio e lo strappai in più parti, il segreto della mia felicità divenne una manciata di coriandoli che lasciai atterrare sul pavimento.
Don Pedro, mi disse, osservandomi con simpatia – Paolo, ho fiducia in te. La conquisterai.
Prese in mano il quaderno degli appunti e si immerse nel suo lavoro.

2 commenti:

  1. Bellissimissimo! Ed è solo l'incipit. Devi proseguire... assolutamente! :-)

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  2. Ciao Pim,
    sei gentile, grazie :) pensavo di fermarmi qui però un pò mi dispiace, provo a lavorarci su
    Pinky

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