domenica 14 gennaio 2007

Uomo del mio tempo

Questa poesia di Salvatore Quasimodo mi è tornata in mente mentre scrivevo Eseguivo gli ordini. Mi ha colpito la prima volta che l'ho letta tra la speranza che fosse solo pessimista e la consapevolezza che l'autore probabilmente ha raccontato la realtà. Le parole rimbombano nella mente, rimangono impresse, un Je accuse che non concede repliche  Quel piccolo filo di speranza che sorregge la fine, sta a noi farlo diventare reale. Non commettendo gli errori dei nostri padri e riappropriandoci dell'amore, della solidarietà, del rispetto.


Sei ancora quello della pietra e della fionda,

uomo del mio tempo. Eri nella carlinga,
con le ali maligne, le meridiane di morte,
t’ho visto – dentro il carro di fuoco, alle forche,

alle ruote di tortura. T’ho visto: eri tu,

con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio,

senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora,
come sempre, come uccisero i padri, come uccisero
gli animali che ti videro per la prima volta.
E questo sangue odora come nel giorno

Quando il fratello disse all’altro fratello:

«Andiamo ai campi». E quell’eco fredda, tenace,

è giunta fino a te, dentro la tua giornata.

Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue
Salite dalla terra, dimenticate i padri:
le loro tombe affondano nella cenere,

gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore.

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