mercoledì 6 dicembre 2006

L'anello forte

Autore:  Nuto Revelli
Anno di pubblicazione: 1985
Casa Editrice: Einaudi


L’autore, nell’introduzione, spiega le motivazioni che lo hanno spinto a realizzare questo libro, il metodo utilizzato, gli aspetti che ritiene rilevanti. Racconta  di aver per diversi anni “rincorso” il tema della guerra. Molti elementi del vivere quotidiano gli facevano ricordare il periodo in cui era alpino in Russia. Nuto Revelli ritiene importante l’esperienza vissuta quando ha scritto L’ultimo fronte che gli ha consentito di  guardare alla guerra come a una pagina del passato. Negli anni sessanta è impegnato a realizzare quel libro, viaggia attraverso la  provincia di Cuneo per raccogliere materiale. Sono anni di grande cambiamento. La provincia “Granda” è investita dal “miracolo economico”. Nascono nuove imprese grandi come la Michelin, la Ferrero, e tante altre di piccole e medie dimensioni. Le città sono preda di una crescita  urbanistica disordinata, frettolosa. Aumenta il divario tra “l’agricoltura quasi ricca o  ricca” della pianura e quella più povera di collina e montagna.
La fabbrica sembra la soluzione giusta per giovani che lasciano sempre più frequentemente  collina e montagna. Questo «esodo» è accolto favorevolmente dai politici.  Lo scrittore è critico nell’osservare che è favorita la creazione di nuove industrie «come se ogni paese della pianura dovesse avere la sua fabbrica». Ciò che l’autore condanna maggiormente è l’arroganza del potere economico, l’incapacità di pensare a un mondo senza vinti ne vincitori. I paesi punti di partenza dell’esodo rimangono stravolti e abbandonati. Negli anni  settanta le differenze si sono acuite, Revelli continua a girare la provincia in cerca di una società che sta scomparendo. Pur non mitizzando la società contadina lo scrittore guarda con paura a «l’industria che aveva stravinto», la mancanza di equilibrio tra agricoltura e industria, il perdurare di una società di vinti e vincitori. Il fiume Bormida con i suoi miasmi inquinanti è un chiaro simbolo della situazione.
La gente di campagna più povera è anche la più ospitale e disponibile. Le donne si rivelano essere le interlocutrici più preziose avendo conservato le lettere dei dispersi in guerra, le loro fotografie.
La donna incontrata da Revelli è spesso defilata rispetto all’uomo a cui spetta la parola. Ascolta intervenendo raramente, naturalmente esclusa quando si parla di guerra. Lo scrittore lamenta il fatto di non essere riuscito ad avere una testimonianza completa di una donna se non quando è vedova.
Da lì gli viene l’idea di  un libro incentrato sulla figura femminile.  Mentre sta finendo di realizzare Il mondo dei vinti già raccoglie le  loro testimonianze. L’autore  si interessa anche al fenomeno dei «matrimoni misti». Inizialmente pensava di incentrare il libro sulla testimonianza delle donne meridionali che si sono sposate con piemontesi e trasferite al nord.



Questo lavoro di ricerca, di raccolta delle testimonianze si basa sulla fiducia, richiede tempo. E’ necessario conoscere l’ambiente nel quale si va a operare, procedere con rispetto nell’approfondire i temi della società contadina. Revelli si pone l’obiettivo che definisce ambizioso di «dare una voce alla donna della campagna povera e meno povera perché finalmente scriva la sua storia». Ristabilisce i contatti con i vecchi «mediatori»  e in particolare le «mediatrici». Usa, durante le interviste, un magnetofono semiprofessionale, posto sulla tavola,  visibile in modo che la persona sappia che la testimonianza è registrata. Lo scrittore spiega brevemente gli obiettivi che intende raggiungere con la ricerca. Chiede, se possibile, di rispettare l’ordine cronologico. Poi parte la testimonianza.  Solo riascoltando quanto registrato  si rende conto se la testimonianza è utile o meno ai fini del suo lavoro.
Nuto Revelli ha raccolto duecentosessanta testimonianze, sessanta di donne  meridionali emigrate in Piemonte nell’ambito del fenomeno dei  matrimoni misti. Più di due terzi delle testimonianze pur essendo valide, non sono state inserite nel libro. Questa selezione è stata difficile per lo scrittore.   
Le testimonianze durano in media quattro ore. Sono trascritte e sintetizzate.
I racconti sono suddivisi geograficamente, in base al territorio nel quale le protagoniste hanno vissuto: pianura, collina, montagna, Langhe. E’ adottata un’ulteriore suddivisione di carattere cronologico, le testimonianze sono inserite dando la precedenza alle testimoni più anziane per giungere a quelle più giovani. Questo metodo consente al lettore di rendersi conto dei cambiamenti che ci sono stati in un territorio visto in epoche diverse, in un percorso evolutivo.
Revelli tratta gli aspetti che più lo hanno colpito, tiene a precisare, nella  parte che riguarda la pianura di essersi interessato ai contadini, non agli imprenditori agricoli e di essere attento al problema dei giovani. Spesso chiedere a uno dei testimoni quanti sono i giovani che si dedicano ancora all’agricoltura riserva sorprese. La prima risposta è che sono ancora numerosi. Poi nominandoli ci si rende conto che diversi hanno superato i quarant’anni, alcuni svolgono anche un secondo lavoro. Il numero di giovani dediti solo all’agricoltura diventa quasi uguale a zero. 
Riguardo le  testimoni citate indica le generalità, l’anno di nascita e i mediatori che lo hanno messo in contatto con la persona.
Viene raccolta la testimonianza di donne che hanno ancora la faticosa esperienze della migrazione e della filanda.
Franca Tonello e la coppia Bottasso sono giovani che hanno deciso di dedicarsi all’agricoltura. Con sacrificio si stanno costruendo il loro futuro nel rispetto dei valori contadini.
Il colloquio con una coppia che  Revelli  definisce “affittavoli privilegiati” diventa spunto per alcune riflessioni. Si lamentano per le spese sostenute nel dotarsi di macchinari, il duro lavoro. Sono pentiti di non aver acquistato altra terra quando costava meno. Hanno tre figli. I primi due hanno scelto altri mestieri. Il più giovane deve fare il servizio militare e poi deciderà cosa fare del suo futuro. Mario, così si chiama entra in casa quando è presente lo scrittore. E’ un ragazzo con l’espressione imbronciata. La vita di campagna lo costringe a lavorare quando gli amici si divertono. Anche dopo essersi lavato Mario sa che andando in discoteca verrà snobbato dalle ragazze perché e contadino. Questo lo spinge a pensare di dedicarsi a un alto mestiere.
Laura,  racconta che con il marito, ha ristrutturato e messo a norma la stalla. Sono però mancati i soldi per rimettere a nuovo la casa. Pur volendo affittare altra terra, non trovano persone disposte a cederla. Un giovane che vuole dedicarsi all’agricoltura, dice, deve affrontare tante difficoltà. Quando affitta la terra rischia di doverla perdere dopo poco tempo.  Laura parla dei sacrifici fatti, esprime la speranza che i figli non si dedichino alla vita di campagna.  La moglie di un contadino non ha tempo per sé.
La ricchezza non si improvvisa è il frutto del sacrificio di alcune generazioni. Certe volte i soldi non sono garanzia di felicità. Due fratelli e una sorella  sono protagonisti di una storia triste, non sposati vivono come baraccati, unico segnale di modernità un televisore. Hanno trentotto giornate di terra, sanno che valgono molto eppure la loro è una vita senza sbocco, senza futuro.
La «roba» è in grado di creare screzi e litigi. Una coppia si rivolge a Nuto Revelli per consigli su come interdire il figlio, la persona che più aveva aiutato i genitori. Il ragazzo  non voleva dividere la terra con i suoi fratelli e giunge al punto di ferire il padre. Poi scappa con i «capelloni». La madre li definisce plandraia. Vorrebbe farlo rinchiudere in manicomio. Una donna afferma  lavorare in fabbrica è una necessità. che consente un miglioramento della vita. Il contadino-operaio può dotarsi di attrezzature moderne, acquistare nuovi animali. Gli aiuti statali spesso vengono dati a chi non ne ha bisogno. Vivere in pianura è difficile «ma a vivere in montagna c’è da piangere». Le persone che hanno venduto i loro possedimenti montani e si sono trasferite in pianura non trovano terra da affittare o acquistare. La fabbrica «spreme» il lavoratore e dà insoddisfazione ma come fare a vivere solo come contadini? La passione non basta, i figli vengono spinti a imparare un altro mestiere. La società si sviluppa in un'altra direzione, privilegiando altre conoscenze rispetto al sapere della gente di campagna. Il contadino più giovane, della zona, ha quarantacinque anni. I due coniugi lamentano che la fatica spesso non viene ricompensata adeguatamente e leggi sbagliate  non contribuiscono a migliorare la situazione.
Le persone emigrano anche  dai paesini di collina e  si trasferiscono nei paesi di fondovalle che diventano cittadine. Un modo per recuperare la collina è la costruzione di seconde case ma «lungo la fascia della collina pedemontana, dove si spegne l’agricoltura si spegne la vita e si estende il deserto».
Il sindaco di Rittana, Adriano Perona descrive la situazione basandosi su cifre che danno la dimensione del fenomeno spopolamento. Nel 1900 Rittana aveva milletrecento abitanti diventati nel 1982 duecentocinquantatre. L’agricoltura si va perdendo, l’ottanta per cento dei terreni è incolto. Aumentano i proprietari di seconde case. Il sindaco ne fa un ritratto poco positivo. Persone che «recintano subito». Sono esigenti, rischiano di far sentire estranei gli stessi abitanti di Rittana.  Perona confida nella costruzione di una «fabbrichetta» come rimedio, per fermare almeno in parte lo spopolamento . Il cambiamento maggiore si è verificato a partire dagli anni ’50. Sono diminuiti gli scolari, sono state chiuse  osterie e negozi. Il sindaco è costretto a saper fare tutti i mestieri. All’occorrenza diventa becchino. E’ difficile coinvolgere la gente in iniziative. Quando ciò succede come nel caso della festa al  Chiöt Rosa, la festa diventa un’occasione di riflessione e di speranza.
Dalmasin fa da mediatore a Revelli nella zona tra Roccasparvera e Caraglio. Lo aiuta a meglio comprendere “il linguaggio cifrato” a cui ricorrono le persone. Un linguaggio fatto di gesti e espressioni.
Il momento della raccolta della testimonianza diventa quasi una riunione di famiglia, i parenti rinunciano perfino a «Portobello» pur di essere presenti. Ci si raccoglie in cucina e in sala. Le paste, il vino devono fare il loro ingresso al momento giusto. Il momento del vino, orgoglio delle persone che lo hanno prodotto, è visto con timore da Revelli, astemio.
Anna Giordano, nata nel 1909,  viene intervistata quando è presente anche la figlia. Dice che è disposta a firmare riguardo quanto racconta essendo «cose vere, che è bene che si sappiano» . La figlia Rosalba afferma che non avrebbe sposato un contadino riferendosi alla troppa fatica da fare e i troppi figli da allevare. Il marito è operaio alla Michelin.
L’incontro con Margherita Sordello diventa un’occasione per fare un confronto tra generazioni. La signora Sordello lamenta di essere nata troppo presto, nel  1921. E’ presente all’intervista una vicina di casa, Olga nata nel 1945 che interviene parlando di come le cose siano cambiate. Olga e la famiglia  non hanno più sofferto la fame anche se il lavoro continuava a essere pesante e la libertà per la donna poca. «Sembra anche a me di essere nata troppo presto, tanto la vita è cambiata e migliorata in questi ultimi anni. Perché oggi, a parte il benessere, la ragazza ha molta più libertà di quanta ne avessi io. D’altronde è anche giusto. Perché la ragazza deve essere prigioniera? La ragazza deve avere la libertà che ha l’uomo» .
Nuto Revelli afferma di avere conosciuto una trentina di desmentioure  ma di non aver mai potuto assistere al rito della smentia. Dalmasin gli parla di Maddalena Ristorno, Pineta, nata nel 1900. Una sera i due vanno da lei, abita in una piccola casa, sul tavolo campeggia una bottiglia di spumante. Revelli viene invitato a berlo seppur astemio, fa qualche domanda alla donna che risponde in maniera sbrigativa essendo interessata a fare la smentia. Ha avuto sei figli, li ha allevati, non hanno patito la fame. Giunge a trovarla uno dei figli con moglie  e nipoti. La nuora racconta di come una volta fosse scettica e si è dovuta ricredere rispetto a questa pratica. Un parroco aveva criticato la signora Ristorto e la madre riguardo la loro attività di desmentioure. Quando si è sentito male ha chiesto  che fosse praticata anche a lui. La  smentia è una pratica antica che serviva a far dimenticare il dolore, la sofferenza alla persona su cui veniva fatta. Ogni desmentioura era specializzata nell’affrontare certe malattie rispetto ad altre. La signora Ristorto mette  dell’acqua in un recipiente, la fa bollire, mette dei bocconi di pane e delle foglie di olivo benedetto. Recita delle preghiere nominando più volte il nome della persona oggetto della smentia. Rovescia il liquido in un piatto piano. Quando il liquido non fuoriesce, la smentia è riuscita.
Pinuccia di Tetto Sordello racconta a Revelli le favole di una volta. Quando lo scrittore va da lei nevica. La donna si dice dispiaciuta per il cortile piccolo, in discesa che costringe a fare più manovre con l’automobile. Afferma «Qui siamo dimenticati da tutti, Nusgnur bele si l’è gnin pasà» . Faticano a trovare una presa di corrente a cui attaccare il magnetofono infine l’attaccano sotto il  portico all’altezza della stalla.
Nella zona tra Caraglio e Monterosso, nella bassa Valle Grana sono raccolte testimonianze di persone che coltivano i piccoli frutti (lamponi, fragole).
Ida Grosso, intervistata con il marito Franco dice che nella zona vivono soprattutto piccoli proprietari. In buona parte hanno un secondo lavoro in fabbrica o come muratori. Franco precisa che un centinaio di persone circa lavora alla Michelin. Gente che era contadina e conserva il suo pezzetto di terra. Ida afferma che è difficile per un contadino sposarsi. Nel  1959, quando Ida si fidanza con Franco, era diffusa l’idea che fosse uno sbaglio sposare un contadino. Le amiche avevano cercato di dissuaderla. Certo, afferma Ida, si vive un po’ in isolamento in campagna. I contadini, secondo lei, non sono meno intelligenti degli  uomini di città però si sentono in soggezione a parlare con persone che hanno studiato.
Ida osserva che un tempo  la donna era costretta a sposarsi, l’alternativa era restare in casa da nubile, magna  che non aveva molta voce in capitolo riguardo le decisioni da prendere e si riduceva a essere quasi una serva. Ora invece si può decidere di non sposarsi e costruire una vita indipendente. La signora Grosso prosegue dicendo che la  moglie di un operaio-contadino vive faticosamente dovendo pensare anche alle coltivazioni. Coltivare e raccogliere costa sacrifici che spesso non vengono ricompensati. Quando si va a vendere i prodotti ai commercianti capita sovente di non ricavare abbastanza da recuperare le spese.
Le altre testimonianze narrano anch’esse di sacrifici, pochi agi e la difficoltà per i contadini di trovare moglie. Maria Rosa è una donna calabrese, si è  sposata con un piemontese. Vive in Valle Grana dal 1971. Non ha  televisione, automobile, lavatrice. Ha imparato il dialetto locale. Quando le viene chiesto se incontra le donne meridionali che si sono sposate nella zona, dice che prima deve pensare alla famiglia e al lavoro.
Anne Rodrincks, indiana, per una serie di coincidenze ha incontrato il marito e si è sposata a Bernezzo . Le piace la vita di campagna e la gente del posto. Vorrebbe viaggiare, non intende imparare il dialetto locale. Ritiene più importante imparare lingue che potrebbero servirle in futuro quale il francese.
La montagna
La montagna dei montanari sta scomparendo, non nascono più bambini nei paesi di montagna.
La valle Maira è la valle che più ha risentito dello spopolamento. E’ rimasta intatta. La strada «antica» da un lato l’ha difesa  e dall’altro ha dato meno possibilità ai suoi abitanti. Revelli racconta di conoscere bene questa zona. La rivede con gli occhi   di un tempo. Coltivata dove ora prevale la brughiera, abitata «dove si è spenta la vita».
Va alla borgata Preit di Canosio, è il periodo del fieno. Il carico è trasportato in slitta e poi a spalle nei lenzuoli dalla base di arrivo alla borgata. Alcuni albesi si sono trasferiti nella borgata per coltivare fragole. E’ un eccezione. La gente del posto si rifà alla tradizione, alleva animali.
Il Preit d’autunno ha un altro aspetto. Le seconde case sono chiuse così come le colonie estive. La gente teme l’inverno, le abbondanti nevicate. Una donna ha venduto le sue bestie per trasferirsi a Canosio. E’ ancora fresco il ricordo delle valanghe che l’inverno precedente avevano rischiato di colpire le case. Solo Tunin decide di restare. «Io resto a Preit, costi quel che costi, - mi dice. – Io la mia casa non l’abbandono. Lo vedi il cimitero? E’ li sotto, confina con il nostro cortile. Un salto e sono a posto. I funerali di oggi costano. Se viene la valanga per me è comodo. Una spesa di meno per la famiglia, un funerale veloce.» 
Tunin Pasero muore in inverno. E’ colpito da emorragia cerebrale.  Revelli quando era andato a trovarlo con Mario Rigoni Stern, li vede iniziare  un «dialogo serrato».  I due montanari fanno sentire Revelli quasi un escluso. In primavera al Preit è stato costruito un cantiere, un azienda mineraria è impegnata nella ricerca dell’uranio. Revelli lamenta lo spreco di denaro pubblico e lo scarso rispetto per le proprietà private. Afferma che Tunin si sarebbe ribellato non avrebbe acconsentito a che trivellassero i campi senza autorizzazione.
Un mattino la piazza del municipio di Stroppo appare a Revelli quasi deserta, nelle ore in cui rimane a osservarla. Nuto Revelli raccoglie la testimonianza di alcune  signore  della borgata Cucchiales. Un giorno gli capita di intervistarne cinque insieme. Si rivela essere un’esperienza positiva.
Caudano  è una borgata che si va spegnendo. Nel 1981 ci sono ancora due famiglie, sette  persone. Nel 1966 gli abitanti erano una ventina. Vincenzo Cucchietti racconta che la valle ha subito un primo spopolamento negli anni ’50 quando i giovani andavano a lavorare alla Fiat. Un secondo esodo si è verificato negli anni ’60 quando i giovani sono andati a lavorare alla Michelin. Ora solo la chiusura delle fabbriche o una guerra potrebbero far ripopolare le borgate. Il signor Cucchietti che si è trasferito in pianura denuncia un cambiamento di clima nella zona del Caudano. Non cresce più la frutta e ci sono stati avvistamenti di aquile.   
Martin del Torĉ  abitava al Caudano, era amico di Nuto Revelli. Quando lo scrittore andava a trovarlo, l’uomo metteva sette cucchiaini di zucchero nel caffè. Era un segno di ospitalità, amicizia e di rivincita nei confronti del suo passato. Martino Giordana muore in aprile nel 1981. Non era una persona che collaborava. Però era una presenza che infondeva sicurezza. Una volta pur essendo anziano era riuscito a far scappare i ladri facendosi vedere.
Le Langhe
Nuto Revelli definisce la zona delle Langhe una «provincia nella provincia» in grado di rinnovarsi salvando almeno in parte la sua identità. La bassa Langa vive un diffuso benessere. L’alta Langa pur essendo montagna vive una situazione migliore rispetto a quella delle vallate alpine. Li resiste la figura dell’operaio contadino e i «matrimoni misti» si contano a centinaia. Ad Alba dei trentunmila abitanti, seimila sono meridionali.
Miles  aiuta Revelli nella zona di Mombarcaro che diventa una delle sue basi di partenza. La signora Maddalena, nata nel 1899, fornisce un interessante testimonianza riguardo al parto vissuto quasi come una guerra. La signora, inizialmente silenziosa, fa temere a Revelli di non riuscire a realizzare l’intervista. Si sbaglia. Quando invita la testimone a parlare, la donna inizia il suo racconto fatto di fatica. Ha avuto quattro figli. Lavorava fino all’ultimo momento. Senza risparmiarsi. Due sono morti. Una bambina è stata rovinata durante il parto ed è vissuta fino a sedici anni. Il bambino è morto di enterite durante la guerra. La mortalità infantile era percepita quasi con distacco come una cosa naturale. La madre ricorda con affetto e accettazione i figli e la loro morte. In alcune famiglie era diffusa l’usanza, quando moriva un bambino, di dare a chi nasceva successivamente lo stesso nome.
Revelli si reca in una scuola della Langa. Dopo il dibattito chiede ai bambini presenti chi, tra loro, avesse una madre meridionale. Dovrebbero essere sei le mani alzate in realtà si alza solo la mano di una bambina. Discorso diverso quando si tratta di sapere chi guida il trattore in quel caso si levano una trentina di mani.
Il 1° dicembre 1980 la notizia del giorno è il terremoto in Irpinia. Nuto Revelli è a Mango. Ha modo di ascoltare in un bar critiche piuttosto pesanti riguardo i meridionali. Discorsi che si trasformano in risate. Revelli li critica aspramente e pone in luce un signore anziano che rimane estraneo al «branco».
Nuto Revelli dedica spazio al racconto della storia di Angiulina di bindei . E’ un personaggio che lo affascina. Vissuta al di fuori della sua epoca, indicata come diversa e per questo giudicata e criticata.  Viene descritta come una persona trascurata nel vestire. Da alcune donne era indicata come una Masca, un Mascone. Questo giudizio era spiegato da una signora, definita da Revelli bigotta e settaria, facendo riferimento al fatto che portava cibo e da bere, nel cimitero, a un fratello morto suicida. Era comunista e lo diceva apertamente.  Una donna che la conosceva forse più delle altre,  ne parla come di una persona in gamba che solo negli ultimi tempi aveva iniziato a bere troppo. Un giorno a Torino, ubriaca, si era messa a urlare. Era stata internata in una casa di cura dove era morta dopo poco tempo. Il direttore aveva venduto i suoi beni.
A Bòsia il sindaco è una donna. Carla Vola, laureata in lettere, ricopre questo incarico. Dice di sentirsi vicina alla gente umile perché proviene da un ceto modesto. Il suo impegno politico-amministrativo è maturato nell’ambito di Azione Cattolica, vota democrazia cristiana. I contadini della zona sono pochi, i giovani non si dedicano più a quella professione. La gente va a lavorare in fabbrica e questa diventa un mezzo per raggiungere l’indipendenza economica. Carla Vola si riferisce in particolare alle ragazze che non devono più andare a lavorare da serventa . La Professoressa Vola crede in un agricoltura moderna. Cinque donne meridionali sono sposate in campagna e si sono integrate bene.
Le opinioni su quanto accade in quegli anni non sono omogenee. Margherita Sordello e la vicina di casa Olga sentono di essere nate troppo presto. Avrebbero voluto vivere in un’epoca di minore fatica e maggiore libertà per la donna. Rosalba Giordano è contenta di non aver sposato un contadino. La signora Laura afferma che se avesse potuto tornare indietro non avrebbe sposato un contadino. Adriano Perona, sindaco di Rittana pensa alla creazione di una fabbrica come mezzo per combattere lo spopolamento. Laura Vola, sindaco di Bòsia esprime la stessa speranza, una fabbrica potrebbe aiutare a ridurre la disoccupazione giovanile. Maria Einaudi, abita a Cucchiales , è inferma. Ricorda la vita di una volta con nostalgia, per lei era migliore di quella di oggi. «Io ero più serena, più tranquilla, anche nella miseria, quando ero giovane» . Renzo è uno dei sette abitanti di Caudano. Ha ventisei anni, non vuole lasciare la montagna. Non è ancora sposato. Caterina Lombardo vive a Vignolo. E’ nata e ha abitato a Elva fino al 1965. Ci abiterebbe ancora volentieri se non fosse un paese spopolato. Elva pur essendo fuori del mondo le piaceva. Molte donne denunciate le difficoltà per una persona che vuole vivere solo facendo il contadino. Difficoltà si incontrano nell’acquisire la terra, comprare gli animali, l’attrezzatura, nel trovare una moglie.



Uno degli  aspetti che mi ha colpito nel leggere il libro è la bravura di Nuto  Revelli nel far rivivere su carta le emozioni provate durante la raccolta del materiale e la stesura del libro. Sembra prendere per mano il lettore e fargli ripercorrere le tappe di quel viaggio, facendo emergere le proprie impressioni, rendendo chi legge partecipe della sua esperienza.  Lo scrittore ha trattato  con umiltà e rispetto, questo argomento, applicandosi con pazienza, dedizione e spirito critico. E’ un libro che diventa di anno in anno più prezioso.

3 commenti:

  1. mi hai convinto: lo leggerò.

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  2. Ciao Lara, è un bel libro. Mi piacerebbe sentire le tue impressioni quando lo leggerai.
    Pinky

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  3. nostro nonno GiovanniCaudano è emigrato dal Piemonte alla fine del 19 sec.
    Non ne sappiamo di piú perchè è morto(1905) qui nel Belgió senza lasciarci documenti.Per tutto ciò,lo che Lei ha scritto ci ha interessato molto.

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