martedì 20 novembre 2012

La stazione, il risveglio

Questo racconto partecipa al concorso  indetto da La Stampa "Rivesti l'eroe


Dolly sapeva di non poter parlare di
Serëža.  Anna soffriva troppo al pensiero
di non poter vedere suo figlio e anche Vronskij, la tempesta che aveva sconvolto
la sua placida esistenza, sembrava ormai un argomento scomodo. La conversazione
si trascinava lenta. Guardava la sua amica tormentarsi nervosamente le mani
mentre parlavano del tempo, dei domestici sempre più ingrati e della nuova
brillante stagione che stava per iniziare a Mosca.


Il suo contributo si limitava a
stanchi monosillabi. Gli occhi continuavano a fissare la tenda e il brandello
di vetro che restava scoperto, come una via di fuga che attendeva di essere
colta.  Anna si alzò di scatto dando
l’impressione di avere ricordato qualcosa. Le rivolse un sorriso dolce,
stringendole la mano, disse – Amica mia, devo proprio andare. Oggi è un giorno
importante ed io... – qui si fermò - …io devo fare quello che è giusto. –
concluse in un soffio.  Dolly provò a
trattenerla  – Anna, spiegami per
favore…- mormorò. La donna  non si voltò
e Dolly dopo pochi istanti la vide percorrere il vialetto che si snodava fino
alla strada principale.


Anna indossava scarpe di capretto
che le fasciavano i piedi come guanti, create su misura da M. Landier, il
calzolaio più celebre di San Pietroburgo. Erano, insieme alla cappa di
ermellino che la donna aveva avvolto intorno al lungo collo sottile, l’unico
vezzo che le era rimasto, testimoni di un passato da cui si era dovuta separare.


In  un mattino d’autunno, illuminato da un
pallido sole, Anna era uscita da quella casa perché le sembrava di soffocare,
sentiva il peso di ogni parola che a forza si costringeva a pronunciare. Prima
di rendersene conto era giunta in prossimità della stazione. Il piccolo
edificio bianco era cinto da una staccionata dipinta di scuro.  Entrò, fece un cenno di saluto al
capostazione, e si avviò verso la banchina. Una piccola folla era assiepata in
attesa del treno per Mosca che doveva transitare di lì a pochi minuti. Vide un
paio di matrone che conosceva, per averle incontrate nel salotto di Dolly,
voltarsi dall’altra parte per evitare di salutarla. Sentì qualcosa abbattersi
contro la sua gonna . Abbassò gli occhi e vide un cerchio, si chino a
raccoglierlo.  Un bambino, avrà avuto
l’età  di Serëža, si avvicinò e con
espressione timida  disse – Scusi
signora, proprio non l’avevo vista. Per favore mi restituisce il cerchio. Anna
sorrise per rassicuralo – Tieni, piccolo – disse accarezzandogli il viso. Lo vide
afferrare il cerchio e correre via felice.


Il suo bambino  ormai non le apparteneva più, da tempo si
faceva strada in lei il pensiero che sarebbe cresciuto meglio senza doverla
incontrare. Vronskij ormai la tradiva apertamente.  La donna fece qualche passo, vide una
nuvola  grigia profilarsi all’orizzonte e
farsi sempre più grande, poi giunse il suono sferragliante dei pistoni, infine
il profilo della locomotiva che si faceva sempre più nitida. Anna avanzò, il
piede non trovando appoggio scivolò e con lui il resto del corpo. Poi fu il
buio.


(il racconto è ispirato a un brano di Anna Karenina)