lunedì 28 gennaio 2008

Se questo è un uomo



Voi che vivete sicuri
nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
che lavora nel fango
che non conosce pace
che lotta per mezzo pane
che muore per un si o per un no.
Considerate se questa è una donna,
senza capelli e senza nome
senza più forza di ricordare
vuoti gli occhi e freddo il grembo
come una rana d'inverno.
Meditate che questo è stato:
vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
stando in casa andando per via,
coricandovi, alzandovi.
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
la malattia vi impedisca,
i vostri nati torcano il viso da voi.

Primo Levi



mercoledì 23 gennaio 2008

Ballarò - Puntata speciale

Parlano
i figli delle vittime del terrorismo. Non capita spesso. Il tono della voce è
pacato, sul volto si legge il dolore. Mario Calabresi, figlio del commissario ucciso
nel 1972, ha scritto “Spingendo la notte più in là”. Nel corso della serata vengono letti
alcuni passi del libro.


Mario
Calabresi aveva due anni quando il padre venne assassinato. Conserva un ricordo
netto, caldo, di lui, risale al marzo del ’72, quando insieme andarono a vedere
la sfilata degli alpini. Un ricordo, una sensazione, che torna a sentire nei
momenti difficili e gli dona forza, gli fa mantenere la calma.


Lo
scrittore ha un ricordo netto anche del giorno in cui fu ucciso, di quando
diedero la notizia alla madre, una giovane donna rimasta sola con due figli
piccoli e uno in grembo. Mario Calabresi scrive di quando bambino provò a
insegnare ai suoi fratelli la diffidenza nei confronti della sabbia. In una vasca di sabbia, all’asilo, era stato
messo di fronte al fatto che un padre lui non l’aveva più. Un bambino poco più
grande glielo aveva ricordato con crudezza. Lui era uscito e non era più
rientrato, rimaneva poi  sul bordo,
diffidente.


Mario
Calabresi racconta l’uccisione di Luigi Marangoni, lo ritiene un caso
emblematico di quegli anni. Marangoni, direttore del policlinico di Milano, su
segnalazione di alcuni infermieri, aveva denunciato delle persone che aveva
fatto dei sabotaggi all’interno del policlinico. Si era reso conto, dopo che
gli infermieri era stati gambizzati, di
rischiare la vita. Aveva trascorso gli ultimi mesi con quel pensiero,
rinunciando a portare le figlie a scuola per non metterle in pericolo, sapendo
di non aver fatto nulla di sbagliato.


Gli
obiettivi spesso venivano scelti per il loro ruolo pubblico, per la presenza o meno di
una scorta.


Hanno
parlato anche Benedetta Tobagi, figlia del giornalista Walter Tobagi ucciso a Milano nel 1980 e Marco Alessandrini, figlio del magistrato Emilio
Alessandrini assassinato nel 1979.


Ascoltare
i loro ricordi, le loro testimonianze è necessario per riflettere e cercare di
comprendere cosa accadde in quegli anni. Per quanto difficile e doloroso è importante affrontare il passato, non dimenticare ciò che è accaduto.

Inter - Juventus 2 - 2

E’ stata una partita
strana. Inter in 10 dal ‘9 minuto del primo tempo, causa espulsione.

La
Juve non riesce a approfittare della
superiorità numerica. Nell’area interista si trova sempre in minoranza,
bloccata come si trovasse di fronte a un muro. L’attacco juventino non riesce a
rendersi pericoloso, nonostante sia quello titolare. Per buona parte
dell’incontro, in avanti, si muovono Del Piero, Trezeguet e  Iaquinta. Tra
gli assenti si segnalano Nedved, Camoranesi, Buffon, Chiellini, Zebina e un
Marchionni costretto a uscire, dopo pochi minuti  per sospetto stiramento.


Causa infortunio, nel
secondo tempo, per qualche minuto l’Inter gioca in 9 e segna. Forse i
bianconeri subiscono un calo d’attenzione, Cruz si rivela pronto a sfruttare
una disattenzione della retroguardia bianconera.


La rete del vantaggio
nerazzurro mi getta nello sconforto. Le speranze sono scese di parecchio in
quel momento. L’Inter sembra rivilitazzata. Il primo tempo l’aveva trascorso
lontana dalla porta degli avversari. Ora osa di più.  Poi il raddoppio di
Cruz: 2 a 0.


La Juve si scuote, non ha più nulla da
perdere, può contare sul carattere, la determinazione che tira fuori nei
momenti difficili. Gli ultimi minuti sono suoi, diventano teatro del tutto può
succedere.



Capitan
Del Piero, su assist di Trezeguet, segna la riscossa. Siamo al 79’ passano pochi minuti e all’85’ Boumsong
con un colpo di testa agguanta il pareggio. Il finale di partita è giocato in
avanti da entrambe le squadre che sperano nel colpaccio.


Il
risultano non cambia, appuntamento a Torino tra una settimana.

martedì 22 gennaio 2008

Zi' Palmira



L’osteria del Corso stava in
mezzo alla piazza. Nessuno sapeva dire il perché di quel nome. C’era chi
favoleggiava di un misterioso corso che aveva deciso di stabilirsi sul
continente, chissà come aveva scelto Ripalto e lì era rimasto. Altri lo ritenevano il cognome di una famiglia della
zona, ormai estinta.  In buona parte il
paese se ne infischiava. Corso o non corso quella era l’osteria di zi’
Palmira: un’istituzione. Era lei che teneva aperto il locale, tutto il giorno,
per i buoni amici e i pochi clienti.


La mattina venivano le comari. Compravano il sale, qualche grano di caffè e si
scambiavano le ricette per il pranzo. Al
pomeriggio arrivano gli uomini, si sistemavano in una stanzetta laterale e
giocavano a carte. Lo spazio era poco; c’erano un paio di tavoli coperti da
tovaglie verdi, a tratti, consunte. I mazzi di carte li teneva zi’ Palmira. Li
consegnava e segnava il nome di chi ne doveva rispondere,  poi si sedeva per un po’ a osservare il gioco.
Quando le sue amiche andavano a
trovarla, tornava al bancone, preparava un the e lasciava andar la lingua. Erano
i pomeriggi della maglia, da fare in scioltezza, sedute sulle seggiole vicino
alla finestra o sotto il portico, durante la bella stagione.


Zi’ Palmira aveva ormai più di
settanta anni. Raccoglieva i capelli, grigi e lunghi, in una crocchia.  Quando
usciva indossava un foulard.  Trascorreva le giornate in perenne attività.   
Non aveva famiglia. Era rimasta sola presto. Con
il marito aveva perso la sua gioventù. Vestiva di nero, ogni giorno. Sulla
manica sinistra portava un fiordaliso ricamato. Bello, luminoso. Diverse
persone avevano cercato di scoprire la storia di quel fiore. Non c’erano
riusciti. Era lì e basta. Da sempre la sua compagnia più profonda.



domenica 20 gennaio 2008

Così è...

... se all'Inter pare


  • Ha vinto di nuovo. Non è una novità.

    Forse sarebbe meglio assegnarle
    un rigore al primo minuto. Giusto per chiarire come stanno le cose. Si
    perderebbe in suspense però gli avversari non starebbero a farsi illusioni. In
    fondo è crudele. Meglio essere informati.

    Al ’88 - quando i parmensi già speravano
    nel colpaccio - giunge il rigore (??) di  Ibrahimovic a  ristabilire un equilibrio di breve durata.  Al ’93 lo svedese mette la freccia e sorpassa.


    Ibrahimovic e Vieira si sono
    distinti per fair play, pizzicando e calpestando gli avversari.


    Si segnala anche un fallo da
    rigore,sul parmense Corradi, non sanzionato. Boskov diceva “Rigore è quando
    arbitro fischia”.  Oggi contro l’Inter l’arbitro
    non fischia. Tanto vince lo stesso. Aboliamo la moviola?


Nel dubbio

La Juve è sfortunata
l'arbitro timido o fuori posto
gli avversari meritevoli



i punti persi


Tanto l'Inter vince lo stesso

sabato 19 gennaio 2008

Lui & Lei

- No, non pensavo si arrivasse a questo punto.


- Be’ ora non
si può tornare indietro.


- Non pensavo… non pensavo che si arrivasse a questo
punto.


Si ripeteva.
Forse pensava che questo bastasse a
salvarla, anche se la voce era più incerta e accompagnava le parole con dei passi all’indietro, circospetti.


L’altro non si
dava pena di spiegarle. La guardava, sembrava volersi imprimere ogni dettaglio
nella memoria. Il suo viso era serio mentre avanzava verso di lei. Solo gli
occhi tradivano una certa voglia di ridere, a stento trattenuta.


Splash


Un urlo
squassò l’aria.


 Fredda, molto …


Non le riuscì
di dire altro. Fu sommersa da una risata cristallina che la contagiò. Lui le tese la mano per aiutarla a rialzarsi.


- Ora siamo pari.


Il sole provava
ad asciugarli. Il vento, gelido, li sfiorava in una lenta tortura. Si mossero in
direzione della casa lasciando una scia dietro di sé.

giovedì 10 gennaio 2008


L’amore e la passione, poi il
resto

Se ogni cosa ha un tempo e un
luogo: questo è il mio.
Avrei dovuto dire il nostro però tu ti sei arreso e quindi no, questo tempo è mio.
Si sono
persi i granelli tra le dita e così hanno fatto i giorni.
Raccoglierli non
posso, né intendo voltarmi indietro.
D100_4906_3omani suona già diverso.

mercoledì 9 gennaio 2008

Giulietta e l'amor che ...

Amor che lascia il segno e pure il danno, procurò  rovina ‘si forte  da costringere a serrar la casa che amor
raffigura e turisti muove .


La casa di Giulietta è stata
chiusa per consentire  la pulizia dei
muri e del cortile.  Il secondo monumento
più visitato d’Italia, preceduto solo dai musei Vaticani,  subisce il passaggio di milioni di visitatori.
Fatta la foto con la statua di Giulietta, molti innamorati proseguendo imbrattando
le pareti con le loro Verona01
firme. Finito lo spazio libero, si inventano nuovi
sistemi per lasciare il “segno”. Per esempio usare un chewin-gum   per
appiccicare i bigliettini al muro. Questa pessima abitudine ha
attecchito in barba alle più elementari regole del viver civile e ai più
consueti gesti romantici. Sembra ci sia, in molte persone, un innato bisogno di lasciare traccia di se, specie se in maniera illegale, quasi
che solo così possano  dire Io esisto.
Un segno di debolezza che si ripete spesso sui muri delle città.


Sarà possibile tornare a vedere il celebre balcone a partire dal 15
gennaio.


fonte tgcom

lunedì 7 gennaio 2008

L’ultimo incerto 


Se non ci vediamo più forse sarà colpa del vento. Sai, non ha più smesso di soffiare da quel giorno.


Ogni volta che ho provato a tornare mi spingeva indietro.


Dici che è mancata la
voglia? Forse. Se l’avessi avuta neanche il vento avrebbe potuto
fermarmi. Però non è mai tutto così semplice. C’è anche il resto.
Quello che tu non sai e neanche io capisco fino in fondo.  I segnali, piccoli, quasi insignificanti che sommati gli uni agli altri diventano una corrente, una strada da percorrere.


L’unica.

sabato 5 gennaio 2008

Rossovermiglio

Rossovermiglio
La voce narrante è una donna. Il suo racconto  si snoda lungo un secolo, tra Torino e la Toscana.


A 18  anni, giovane di buona famiglia,  deve scegliere tra cinque uomini indicati dal padre, suo marito. Nel giro di
pochi giorni la sua vita cambia. Con Villaforesta, il prescelto, condivide la
passione per i cavalli. I mesi e gli anni li rendono estranei, incapaci di
comprendersi.
Un uomo, sposato, incontrato  ad una cena è l’appiglio a cui volge il
pensiero quando la realtà si fa più dura.


E’ ormai una donna anziana. Il
suo racconto si muove  rapido tra
presente e passato. Ha l’impressione di avere avuto vent’anni fino all’altro
ieri. La sua memoria le fa ricordare alla perfezione quanto accaduto nella sua
giovinezza. Spesso torna, col pensiero, al passato.
Nel
1939 fugge da Torino e dal suo matrimonio. Si rifugia alla Bandita. La
tenuta è in pessime condizioni, lei non capisce nulla di
agricoltura. Però resiste in quel luogo che sente suo. La guerra non la
sposta,
ospita una scuola, va avanti.
Pensa all’unico pomeriggio d’amore trascorso con
il suo uomo sposato. Le aveva promesso di scriverle. Non si fa più sentire fino
al 1945 quando,  senza più un soldo, riappare
sicuro come sempre, chiuso e poco propenso a parlare di sé. Rimane con lei per
qualche mese, il tempo di trasmetterle la passione per il vino, aiutarla nei
lavori e segnare la sua vita. 


Gli avvenimenti, i personaggi
sembrano narrati a filo d’acqua. Come sospesi, illuminati a tratti. Si scopre
qualcosa e molte domande rimangono inevase. Quel poco dovrebbe servire a capire
la protagonista che con sicura insicurezza prende di petto la vita. Non accetta
la società in cui cresce e non è in grado di cambiarla.





La Bandita diventa il suo mondo, trecento ettari amati e riportati alla vita. Produce
vino, uno di quelli che la rende più fiera è il  rosssovermiglio.


Nelle ultime pagine la storia sterza
in un'altra direzione. Uno sprazzo di luce improvviso consente di capire almeno
in parte ciò che è accaduto prima. Potrebbe aprirsi uno spazio per i dubbi ma questo
non è un libro di se. Molte vite, quando giungono a un passo dall’essere
trascorse, si scoprono diverse.


Rimane a me che sono giunta all’ultima
riga la voglia di riprendere l’inizio della storia per provare a capire certi
particolari che non avevo colto, per vedere con altri occhi una vita sospesa
tra luci e ombre.


Rossovemiglio
Autrice Benedetta Cibrario
Casa editrice Feltrinelli

mercoledì 2 gennaio 2008

goccia a goccia


Pioveva ormai da giorni. L’umidità penetrava fin dentro le
ossa.


C’era poco da fare. Chi poteva restava in casa. Gli impegni
era ridotti al minimo.


Le eccezioni si contavano sulle dita di una mano. Mosse
da passione o necessità, vivevano la pioggia. Erano le uniche anime che si
potevano incontrare in quei momenti.


I pescatori, sebbene
il  mare fosse in burrasca, non si
rassegnavano alla separazione. Andavano in spiaggia almeno un paio di volte al
giorno.  Si muovevano avanti e indietro,
le mani intrecciate,  i piedi scalzi.  Scrutavano la distesa che
avevano davanti, sembravano quasi maledirla, tante erano le emozioni che
si  scontravano nei loro occhi. Tornavano a casa un po’ più stanchi e un po’
meno felici, consapevoli che anche quel giorno dovevano rinunciare.


Certe persone  non riuscivano
a rintanarsi in casa, si perdevano nei giorni di pioggia.  Era facile riconoscerle. Anche quando sembrava
che l’acqua venisse versata con dei secchi,  si incontravano in strada. Camminavano
senza dar segno di avere  fretta. Davano l’impressione di assaporare ogni
goccia. Indossavano impermeabili dai colori variopinti che le rendevano simili
a uccelli tropicali.  La loro piccola follia, fatta di passi bagnati e
tempo rubato alla ragione era la conquista  dei giorni grigi.