lunedì 27 settembre 2010

Un bacio caduto male

 Il telefono è silenzioso. Chissà per quanto. Spera che le lasci almeno il tempo di mettere ordine. Non trova stampelle libere, ritorna verso il letto, si accorge di avere lasciato il segno, un impronta rosso corallo sul colletto della camicia. Un bacio caduto male.
Ieri sera prima di uscire si è truccata con cura, ha indossato l’abito nero e un paio di sandali che le regalano almeno dieci centimetri. Il percorso è stato breve. Giù in ascensore fino al piano terra poi in strada, un tratto di marciapiede, percorso picchiettando con ritmo, ed è arrivata. Ha suonato il campanello. Lui era in casa.


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- Si?
- Ciao, sono Fiorenza.
- Sali.


 


 


Paolo abita al terzo piano, senza ascensore. La porta è socchiusa, Fiorenza entra e lo vede di striscio, sdraiato sul divano. Ha un libro fra le mani, gli occhiali calati sugli occhi e il cellulare appoggiato sul tavolino. Lei si siede in poltrona e lo guarda. Fino alla fine del capitolo lui la ignora. Fiorenza ripassa il discorso che vorrebbe fargli. L’ha in testa da quando l’ha visto con Sandra nel negozio di abiti da sposa. Fiorenza è l’altra, quella da amare a intermittenza, giocando sul fatto che conosce le regole e non può aspettarsi di più. Paolo sincero, con il piede in due scarpe e nessuna intenzione di fare una scelta. Basta. Lui si riscuote, la guarda, le riserva un sorriso compiaciuto. Si alza, l’abbraccia, le dice “Sei stupenda stasera”. Vanno in camera da letto. Spogliarsi è un’azione meccanica. Lei tira già la cerniera e lascia che l’abito le scivoli ai piedi. Lui sbottona la camicia, la sfila e posa sullo schienale della sedia insieme ai pantaloni. Si infilano nel letto, il tutto dura pochi minuti, anche la passione si è persa per strada. Poi lui si volta sul suo lato, chiude gli occhi e dorme. Lei lo guarda ormai convinta di non poter più continuare. Li lega solo l’abitudine. E’ durata troppo. Si alza, è nuda, si avvicina allo specchio, gira su se stessa e sorride. Prende la stilografica che è sul tavolino, la punta su un foglio bianco e traccia le linee dell’addio. Ritorna verso il letto, raccoglie l’abito, tira su la cerniera, l’orologio denuncia le 3. Fiorenza si guarda intorno, prende la borsa che ha lasciato in soggiorno. Sta per uscire ma prima decide che vuole un ricordo. Rientra in camera. Afferra la camicia, la caccia in fondo alla borsa e torna a casa. Sente la stanchezza piombarle addosso tutta d’un colpo. Si butta sul suo letto e chiude gli occhi. Si sveglia quando il sole inizia a infilarsi nella stanza.
Non le resta che la camicia. Un regalo di compleanno, un invito a non tornare indietro.


Sente bussare alla porta.

domenica 26 settembre 2010

Mangia prega ama

Elizabeth Gilbert ha un buon lavoro, una bella casa, un marito e una scatola ove ripone  le informazioni  riguado i luoghi che vuole  vedere prima di morire. Non è felice. Sente che le manca qualcosa, divorzia, si imbarca in una tormentata storia d'amore infine, quando anche questa sembra naufragare, decide di partire per un Mangia prega ama locandina viaggio intorno al mondo, si dà un anno di tempo per ritrovarsi, per costruire un nuovo equilibrio.


Tre capitoli schematici e piuttosto slegati  rappresentano la maggior parte del film. Mangia Prega Ama. Italia India Indonesia. Corpo Spirito Cuore.


La prima tappa italiana è riservata al corpo ovvero al cibo, da consumare in libertà, con inquadrature degne della "Prova del Cuoco",  stereotipi a gò gò e la sensazione di una Roma da cartolina, guasta, priva di significato.


In India Elizabeth si dedica alla preghiera, riflette sugli errori commessi, sulla capacità di perdonare e perdonarsi.


In Indonesia,a Bali, ritrova il Santone che le aveva predetto il suo percorso, tra divorzio, povertà, ricchezza e viaggio.  Le viene chiesto di ricopiare dei documenti, conosce una donna divorziata che da sola deve crescere sua figlia, incontrando mille difficoltà. Liz conosce anche un uomo brasiliano (Javier Bardem) divorziato che per prima cosa prova a investirla e poi...


Il film è tratto dal romanzo omonimo di  Elizabeth Gilbert che racconta l'esperienza da lei vissuta.


Sorprende il fatto che il film, pur essendo tratto da una storia vera, risulti finto, artefatto, poco coinvolgente.  Si, le idee di fondo sono buone: aprirsi alla vita, al viaggio come trasformazione, non aver paura di  lasciare tutto per cercare un proprio equilibrio, imparando da ogni persona che si incontra. Il film cade quando, per dimostrare la propria tesi,  si contraddice avvalendosi  di stereotipi, personaggi costruiti a tavolino, bidimendosionali poco compatibili con l'idea di autenticità che la pellicola sembra voler proporre. Conosciamo la superficialità con qui è stata trattata l'Italia, possiamo legittimamente chiederci se stessa sorte sia toccata anche all'India  e a Bali.   La pellicola è lunga 140 minuti, troppi per una storia  nella quale si fatica a mettersi nei passi della protagonista, capire cosa pensa, il perchè di certe azioni e situazioni che vengono presentate come un asettico elenco, indifferente al cuore.


A un certo punto, verso la fine, Julia Roberts, alias Elizabeth Gilbert, assume l'espressione che aveva in "Se scappi ti sposo" sembra pronta alla grande fuga e...  strappa un sorriso a una spettatrice sull'orlo del sonno.