Lezione ventuno - regia Alessandro Baricco
Un uomo e un violino vengono
ritrovati a cento chilometri da Vienna sono uniti al punto da dover essere
seppelliti insieme e con loro portano una storia..
C'è così poca bellezza nella
nona
Killroy
Film? Difficile definirlo così. Ho l'impressione di trovarmi in un
caleidoscopio che ruota intorno a una sera: 7 maggio 1824, Vienna, la nona
sinfonia è presentata al mondo. Si intravedono fazzoletti bianchi che
sventolano in un teatro. Quel giorno è ricostruito attraverso un batti e ribatti tra musicisti e
cantanti, testimoni , fedeli al genio e critici.
Successo o fallimento mascherato? La
musica, protagonista, viene tirata da un lato all'altro del palcoscenico per
appoggiare questa o quella tesi. Quel giorno si combatte una sfida. La
preghiera laica, cantata nell'ultimo movimento, da molti considerata inutile, è
il sogno d'un compositore ormai sordo, precipitato in dieci anni di silenzio. Per un momento, si trova in un mondo amico e descrive ciò che prova, la gioia, la pace, note che
gli girano in testa da trenta anni senza aver trovato modo di venir
fuori prima. Questa musica che risuona nelle orecchie e nel cuore delle
persone, frutto del genio e della libertà d'un artista, è tacciata
d'essere stata sopravvalutata.
Il Professor Killroy afferma che bisogna considerarla come l’opera d'un vecchio. Non si può prescindere da questo. Con il passare degli anni la forza si muta in
complessità, la leggerezza in follia. Beethoven, invischiato nella
complessità non riesce a trarre bellezza da quello che scrive. Non viene capito dal pubblico perchè è rimasto indietro.
Killroy dinanzi a Marta, la sua
allieva prediletta, spiega la sua celebre lezione ventuno. Sembra
una parabola malinconica ove il professore stigmatizzando la nona e
il suo autore, in fondo, guarda a se stesso, a una vecchiaia priva di bellezza
nella quale si muove con fatica rinunciando e guardando indietro, sperando di potere ancora, per un attimo toccare quella stessa bellezza che considera l'unica gioia.