mercoledì 26 settembre 2007

Si facesse gli

Non
si riusciva bene a capire perché avesse voluto tirar fuori quella
vecchia storia. Nessuno ne parlava più. Pure i genitori della ragazza
in qualche modo si erano dovuti rassegnare.


Michele, il figlio del portiere,  era
un ragazzetto sveglio. Scrutava le persone in un modo tutto suo. Dava
quasi l’impressione di volerne scovare i segreti più profondi. Si
vedeva che non era nato dal lato giusto. Pure lui se ne era reso conto.


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Da un paio di settimane aveva iniziato a cacciare in faccia alla gente strane domande. Lo faceva senza preavviso. In
mezzo alla conversazione infilava punti interrogativi che mettevano a
disagio i suoi interlocutori. Certe volte li spingeva al silenzio. Poi,
con naturalezza, cambiava argomento. Fingeva di non aver visto lo scompiglio creato. Stemperava e registrava le impressioni, i gesti di un momento.


Perché tutto questo? Non si capiva bene quale fosse lo scopo.


A casa di Michele iniziò ad arrivare una strana corrispondenza. Messaggi, senza partenza
e senza arrivo, venivano furtivamente infilati sotto la porta. Lettere
ritagliate con perizia sconsigliavano ulteriori intrusioni. Meglio
pensasse alla sua vita. Finchè ne aveva una.


S’intende.


Il primo messaggio
l’aveva accolto con un sorriso. Stava seguendo la pista giusta. Non
l’aveva sfiorato il pensiero del pericolo.


Un paio di giorni
dopo arrivò un’altra missiva. Sempre sullo stesso tono. Caso volle che
la trovasse sempre lui. I suoi genitori erano all’oscuro di quanto stava accadendo e a lui stava bene così.


Dopo la terza inizio
a pensare a un qualche modo per tutelarsi. Era un affare pericoloso.
Meglio non scordarlo. Con questo pensiero uscì di casa. Si avviò verso il bar. Trascorreva lì le giornate da quando era stato licenziato.


Era scesa la sera. La cena era
pronta. Una madre attendeva suo figlio. Occhiate furtive all’orologio ne
tradivano la preoccupazione. Un’ora e poi due. Michele era in ritardo. Lo disse
al marito. «Tranquilla, ormai è grande. Vedrai che torna presto» . Lui  la
rassicurò così. Almeno ci provò ma lei sentiva che qualcosa non andava.


Albeggiava quando tiro giù dal letto il suo uomo. «Dobbiamo denunciare la sua scomparsa». Non ammise repliche.
Non quella volta. La cosa non fu presa subito sul serio. In fondo era
maggiorenne. Capitano spesso di queste cose. Non è il caso di
allarmarsi. «Certo non è mica loro il figlio» E lo disse pure al
commissario che dava segno di non darle troppo ascolto.
Poi, in un cassetto, furono trovate le lettere minatorie. Le indagini
presero piede. Vennero organizzate perquisizioni in alcune case del
paese, perlustrati i boschi. Appelli alla tv «Michele torna a casa».
Prime pagine sui giornali «Chi sa parli». Titoloni che riempivano di
curiosità. Un giorno dopo l’altro. L’abitudine si insinuò nelle
indagini. Nulla di nuovo. Terze pagine, il fondo. Poi il silenzio.


Michele Sarpi rimase un punto interrogativo male speso.

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