martedì 4 settembre 2007

Incontri

Guidavo da ore, indifferente al
paesaggio che mi scorreva a fianco. L’avevo deciso quella mattina.


«Giorgio oggi voglio andare a
trovare i miei.» Mio marito non ha fatto una piega. Mi ha solo chiesto quando pensavo di
tornare. Gli ho promesso una telefonata
al mio arrivo. Spero, con idee più chiare.


Come per tutte le decisioni
improvvise, all’inizio mi sentivo eccitata. Preparavo la valigia, sistemavo le
ultime cose ed ero preda di una strana euforia. Poi è sopraggiunta la calma,
serena, che ha scavato nella memoria fino a farmi sentire più vicina alla meta
di quanto denunciassero i chilometri.


 Sono partita che avevo 18 anni. Ho salutato i miei genitori rassicurandoli
che prima o poi sarei tornata. Non avevo una meta. Un piano definito. Lasciai
fare al destino. Trascorsi due giorni tra pulman e treni. Coincidenze mancate e incontri nati sotto una buona
stella.


Avevo resistito ventanni senza
che nemmeno mi sfiorasse il pensiero di ritornare. Troppi erano i posti da vedere, le persone da incontrare.
Troppi i motivi che mi tenevano lontana.


Puntualmente ogni estate invitato
i miei a venirmi a trovare. Alla  prima
telefonata ne seguiva una seconda e poi una terza.. Tutte quelle che richiedeva
la buona creanza e che servivano a tacitar la mia coscienza. I miei genitori
mostravano una fantasia inaspettata nel trovare validi motivi per rifiutare.
C’era sempre qualcosa che li spingeva a rimandare. Al telefono sembravano
sereni, affettuosi, poco inclini a fare domande. Non mi avevano mai chiesto di
andarli a trovare. In fondo, a me, il loro atteggiamento faceva comodo. Vivevo
spensierata senza farmi problemi. Senza
pormi domande. Ventanni erano trascorsi con telefonate regolari, lettere mal scritte e altre solo pensate.


Ora che  si avvicinava il momento mi assaliva un po’ di
inquietudine.

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