Sono 2.975 i militari americani morti in Irak. 2.975 persone. 2.975 famiglie che piangono i loro morti. L'Associated Press ne ha tenuto il conto,dando la notizia che il loro numero ha superato quello delle vittime dell'attentato alle Torri Gemelle (2.973). L'11 settembre 2001 è una data simbolo entrata nella vita di ognuno. Anche questa notizia assume un significato, questo "sorpasso" fa riflettere. Se ci si ferma a pensare a questo numero fatto di persone, un piccolo paese, spazzato via in quasi 5 anni di conflitto affiorano interrogativi a cui è difficile dare delle risposte condivise. E' servita questa guerra? Possiamo dire che i cittadini iracheni stiano meglio rispetto a 5 anni fa? Il mondo è più sicuro? Domande certo, quelle non mancano mai. Manca forse il tempo. Il tempo di riflettere sulle conseguenze di una decisione. Il tempo di ascoltare la storia di queste persone, di osservare i loro visi. Giovani alcuni convinti altri solo costretti, dalla povertà, a scegliere la carriera militare. Tanti sono stati i civili iracheni morti (40 ieri a Baghdad in 4 attentati), i bambini. Sono tante le vite spezzate e tanta è la voglia di una normalità che in Irak si fatica ancora a trovare.
Così la speranza è che si provi seriamente a porre fine al conflitto, a fermare la guerra civile che si è scatenata nel paese.Se non ora, quando si porranno le basi per la pace? Se non ora, quando si scriverà la parola fine per questo conflitto?
Se non ora, quando? è il titolo di un romanzo di Primo Levi. E' una frase piena di significati. Mi trasmette la necessità di fare qualcosa, l'importanza di non rimandare, l'apertura rispetto a un futuro da costruire e che dipende anche da noi.
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