Avevamo programmato di partire alle sei.
Ricordo che la sera prima, appoggiando la fronte al vetro della finestra, gelido, ero rimasta ferma per qualche minuto, intenta a osservare fuori. Il cielo scuro e privo di stelle. Il lampione solitario che provava a rischiarare un pezzo di strada e traballava come se da un momento all'altro fosse costretto a gettare la spugna. La casa di fronte alla nostra, priva di illuminazione, sembrava silenziosa. Il cancello era rimasto aperto, forse qualcuno doveva ancora tornare. Avevo visto anche loro. Piccole briciole bianche che si coprivano di buio e volteggiavano leggere fino a disperdersi in terra. Troppo deboli per imporre il loro colore, sembravano una piccola follia notturna destinata all'oblio.
Andai a letto e nemmeno raccontai a Paolo di quello strano volo, del pericolo che non sentivo mio. Pensavo al sole intravisto in tv, forse il meteo non avevo indovinato, forse il sole era una nuvola però non poteva essere neve e questo mi rassicurava. Chiusi gli occhi e non ricordo più altro.
La sveglia suonò, perentoria, all’ora stabilita. Il buio non le faceva paura. Compì la sua missione di tirarci fuori dalle coperte con indomita precisione. Iniziammo a vestirci, alternandoci in bagno e davanti allo specchio. Sbrigammo in fretta anche la colazione. Infine eravamo pronti per uscire. Aprii la porta. Il tappetino con la scritta Welcome, appoggiato sul pianerottolo, era scomparso, il piede che avevo mandato in avanscoperta, rivestito di un morbido stivale di pelle marrone, stava sprofondando in un mar bianco che avrebbe potuto essere panna se non fosse stata più fredda e umida. Portai in salvo il mio piede sulla terraferma. Prima di contare i danni decisi di scrutare l’orizzonte. Da qualunque lato provassi a sporgere la testa emergeva solo una risposta: Neve.
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