Ecco, vedi, è questo che non
capisco. Viviamo insieme da venti anni, condividiamo lo stesso letto – tu il
lato destro, io il sinistro – ti alzi alle sette meno un quarto in settimana e alle nove di
domenica, a colazione ti piace il caffè amaro con due fette biscottate, la
marmellata quando sei giù. Se ti porto la colazione a letto mi fai un sorriso lungo
un giorno così che io quasi dimentico d’arrabbiarmi
per le briciole che trovo tra le lenzuola. Ridendo
strizzi lievemente gli occhi e muovi le mani come se stessi suonando
una musica che conosci solo tu.
Quando fai la doccia stoni cantando Battisti. Se se
in ritardo - una mattina su due – la cravatta te la annodi in ascensore e corri
verso la macchina come fossi un bambino. Arrivato davanti alla portiera, ti fermi, il
tuo viso si fa punto interrogativo. “Le chiavi, dove ho messo le chiavi?” Il
pensiero ti investe e ti fa lo sgambetto. Mani nelle tasche dei pantaloni. No. Mani nelle tasche della giacca. No. Nel taschino
della camicia. No. Ti risolvi ad aprire la valigetta, frugare alla ricerca
delle chiavi di scorta. Salvato in corner. A quel punto ti ricordi di me. Porti le dita alla bocca e mi spedisci un bacio. Lo sai che
sono dietro il vetro, la tenda sollevata, fino a quando non sparirai dietro al
cancello e la giornata sarà ufficialmente iniziata.
Forse nemmeno adesso te ne rendi conto. Il “tu non c’entri”,
formato coltello, che mi hai lanciato stamattina quando sei uscito sbattendo la
porta è arrivato a destinazione. Il bacio no.
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