Ermete Zacconi
quello che sapeva tirare i calci di rigore
Era
il migliore. Come tirava i calci di
rigore lui, non li tirava nessuno dicevano i vecchi mentre gli occhi si
perdevano nei ricordi. Niente rincorse, finte o altri trucchetti. Posizionava il pallone sul dischetto e
tirava. Segnava con una regolarità
disarmante.
I
portieri quando se lo trovavano davanti provavano una certa apprensione. Lo scrutavano con attenzione cercando indizi utili a capire le sue intenzioni.
Lui li guardava di rimando. Né preoccupato, né arrogante, aveva l’aria di uno
finito lì per caso. Non era facile trarne qualcosa. L’arbitro fischiava. Era
arrivato il momento. Mi butto di qua o di
là? Aspetto che tiri? Il portiere
consumava gli ultimi istanti in
decisioni frettolose. Certe volte indovinava pure il lato in cui buttarsi. Poi
però non aveva il tempo di cullare il sogno dell’impresa. Era prossimo alla
parata quando il pallone, sordo alle sue preghiere, si spostava quel tanto che bastava a
proseguire il suo viaggio in fondo alla rete. Lo stadio si alzava di scatto,
esultante e indispettito, per celebrare un goal a effetto che riusciva a essere speciale.
Lui,
al secolo Ermete Zacconi, si muoveva tranquillo verso il centrocampo. Sorrideva
mentre i compagni gli andavano incontro per festeggiarlo.
Rimane
qualche foto in bianco e nero, ingiallita dal tempo, che lo ritrae insieme alla
sua squadra, fissa l’obiettivo
con piglio sicuro. In altre immagini lo
si vede in azione. Il corpo proteso in avanti, i piedi fedeli compagni del
pallone, intento a costruir gioco. Era un centrocamporigoristad’assalto e
questa definizione gli piaceva recitarla d’un fiato quasi fosse un titolo, ne
andava fiero.
Fantasioso
nel giocare quanto era metodico nell’allenarsi. Sembrava tagliato per fare l’impiegato,
aveva pure studiato, il calcio era l’evasione. Aveva iniziato a giocare all’oratorio
e continuato poi nei ritagli di tempo che la scuola gli lasciava. Giocava con
il pensiero quando non poteva fare diversamente. Si divertiva a immaginare la
partita.
Il
diploma in tasca, aveva fatto una delle prime scelte non sagge della sua vita.
Si era cercato una squadra. Voleva fare il salto nel professionismo. Si era quindi
presentato al Presidente della formazione cittadina chiedendo un provino. L’avevano
messo sotto contratto. Diede un contributo importante a raggiungere la
promozione. Giocò diversi anni in mezzo ai grandi. Discese e risalì alcune volte
in un altalena che non rimpianse mai.
Amante
riamato del calcio, era uno che sapeva
farsi voler bene. Tanti anni erano trascorsi da quando giocava però se
chiedevo di Ermete Zacconi alle persone che lo avevano conosciuto, vedevo il loro
volto illuminarsi. Sembravano tornati bambini, mentre mi parlavano di lui, il racconto prendeva i colori della leggenda.
Alla fine anche a me sembrava di averlo incontrato. Ermete Zacconi non si è mai
mosso dal campo. Lui e quel suo tiro indecifrabile.
Lui,
quello della foto, è Renato Cesarini. Juventino dal 1929 al 1935 a lui
si deve la zona Cesarini, espressione che sta a indicare gli ultimi
mininuti di una partita. I suoi minuti, quelli che lo vedevano segnare.
Fotografia tratta da: www.forza-juventus.com/biographies/cesarini.htm